Canto per Orfeo, ultima creazione di Mauro Bigonzetti per Aterballetto, la compagnia emiliana alla quale è stato legato da trent'anni prima come ballerino e poi come direttore artistico e coreografo, ha debuttato nell’agosto dello scorso anno al Teatro Augusta Raurica di Augst in Svizzera.
Il coreografo romano si è avvicinato al mito di Orfeo con un approccio personale e autonomo a cominciare dalle musiche mediterranee, commissionate al gruppo partenopeo Kitarodia composto da Antongiulio Galeandro (fisarmonicista), Cristina Vetrone (voce, organetti e tamburelli) e Lorella Monti (voce e tamburelli), che ha composto dei brani che rivisitano la tradizione della canzone napoletana, con un gusto spiccato la composizione canora armonizzata delle splendide voci delle due musiciste, brani talvolta timidamente contaminati da elementi di musica elettronica.
Nonostante l'organico ridotto e particolare degli strumenti usati, le musiche, rigorosamente suonate dal vivo, riescono a sostenere il ritmo della coreografia senza fatica né artificiosità.
Antongiulio Galeandro, Cristina Vetrone e Lorella Monti esplorano la scena, lambiscono ballerini e ballerine, costituendo il motore drammaturgico prima ancora che coreutico dello spettacolo.
La scena si presenta popolata da dei bidoni di latta monocromi, manovrati dal corpo di ballo che li usa anche come piedistallo e strumento musicale.
Completano l'istallazione le videoproiezioni di Carlo Cerri, che mostrano delle animazioni in cgi di grotte e canyon o di pattern visivi che si trasformano in volti umani mentre le luci proiettano all'inizio un pattern animato che ricorda il riverbero del fuoco.
La rivisitazione del mito intrapresa da Bigonzetti, più atemporale che postmoderna, isola uno dei nuclei del mito orfico, quello dell'amore perso per Euridice e la disperata determinazione a recuperare l'amata scendendo agli inferi, narrato da Ovidio nel decimo libro delle sue Metamorfosi, e ne fa la coordinata tematica della coreografia.
L'unico cenno al nucleo più ampio del mito, quello musicale dell'eroe capace di comunicare, attraverso il suono della sua lira con gli animali della terra e le creature dell'Ade (che tanta fortuna ha avuto, appunto, in campo musicale, dal 1500 in poi) vine fatto all'inizio della coreografia quando Valerio Longo, che in scena è Orfeo, accenna qualche suono con la fisarmonica passando subito il testimone ad Antongiulio Galeandro.
La coreografia non ha una vera vocazione narrativa: la storia di Orfeo non è raccontata ma trasfigurata in una azione scenica che non si connota storicamente (anche i costumi di Kristofer Millar e Lois Swandal,più da sopravvissuti post apocalittici che antiche fogge del mondo classico, sono essenziali e non leggibili in senso connotativo) ma si propone come racconto atavico dell'umano sentire riportato secondo tre diverse direttrici: quella musicale mediterranea dei Kitarodia, quella del corpo di ballo le cui coreografie si innestano sulla tradizione fisica della tarantella sviluppate in un codice coreutico di notevole complessità e performatività fisica, e quella di Valerio Longo e Charlotte Faillard nei ruoli di Orfeo ed Euridice che si muovono sulla scena illanguiditi prima dall'amore e poi dal dolore causato dalla sua perdita.
L'approccio a questa materia è per Mauro Bigonzetti emotiva e primordiale. Anche i testi napoletani della canzoni sono proposti più nella loro forza sonora che in quella del significato.
Il canto cui allude il titolo della coreografia non è così quello dei testi delle canzoni dei Kitarodia ma quello modulato dalla voce umana impiegata nella sua essenzialità sonora pre logica e anteriore al linguaggio (e al melodramma).
Il racconto del mito segue lo stesso processo di riduzione agli elementi fondamentali dell'esistenza umana, dove l'amore tra uomo e donna è guidato da una istintualità dell'emozione piuttosto che da un sentimento culturalmente già costruito, come attestano le danze spigolose eppure fluenti - il corpo di ballo si muove nello spazio con la stessa insicurezza degli omini e delle donne ai confini dell'era preistorica, quando nulla era dato per garantito e tutto così come appariva poteva
improvvisamente scomparire a cominciare dalla vita stessa - attingendo direttamente dall'origine antropologica della danza ma che nella precisione di esecuzione che sfiora il parossismo fisico si connotano come squisitamente contemporanee.
Un amore dunque primordiale che sembra condannato a sparire già al suo primo apparire.
Se la partitura musicale rappresenta un elemento di interesse non indifferente, anche le coreografie del corpo di ballo, dai passi a due, ai quadri di gruppo, si stagliano con una originalità e una autonomia nel panorama della ricerca coreutica contemporanea, italiana e non, davvero notevole dove anche la tarantella subisce una squisita riscrittura totale rinnovata in qualcosa del tutto autonomo e nuovo.
Lascia un po' perplessi il lirismo delle coreografie pensate per Valerio Longo e Charlotte Faillard che lavorano in un continuo a levare, fatto tutto di movimenti languidi e pose, piuttosto che vere e proprie partiture coreutiche, senza però contribuire così allo sviluppo narrativo del mito, come abbiamo visto evocato più che suggerito, e, dato non proprio positivo, distraendo spesso il pubblico dalle coreografie del corpo di ballo, istituendo più che un dialettico contrappunto una indelicata
gerarchia nella e della coreografia nella quale la passione amorosa, e il lutto per la sua perdita, vengono come sublimate nella creazione artistica che risolleva le sorti e la dignità umane secondo un neocrocianesimo un po' fuori tempo massimo.
Danza
COMPAGNIA ATERBALLETTO – “CANTO PER ORFEO”
Orfeo, mito "meditetrraneo"
Visto il
22-07-2013
al
Vascello
di Roma
(RM)