I Bamberger Symphoniker arrivano, per la prima volta, al Filarmonico di Verona: la compagine, nata nel 1946, è frutto della fusione di musicisti tedeschi, provenienti da Praga, ed esuli scampati alla guerra. Inizialmente denominata Bamberger Tonkünstlerorchester, col tempo ha acquisito il nome con cui attualmente si sposta in tutto il mondo. La sua storia è intrecciata alla vita della Germania postbellica e ad alcuni tra i più rilevanti direttori sulla scena internazionale. Tra questi vi è Christoph Eschenbach che collabora con la compagine dal lontano 1965, a testimonianza del lungo e ormai collaudato sodalizio. Il direttore tedesco, pianista di chiara fama, spazia in un repertorio molto vasto che, oltre ai canonici capolavori presentati alla testa delle compagini più prestigiose, approfondisce anche le composizioni del tardo XX e XXI secolo.
Nella città scaligera il programma proposto è incentrato, per intero, sull’Ottocento musicale tedesco: nella prima parte si ascoltano l’Ouverture Egmont Op. 84 e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 in Mi bemolle maggiore Op. 73 “Imperatore” di Ludwig van Beethoven, mentre, dopo la pausa, è la volta di Johannes Brahms con la Sinfonia n. 3 in Fa maggiore Op. 90 e tre Danze ungheresi. L’ispirazione del direttore, le cui intenzioni appaiono molto chiare e approfondite, rivela la propria vicinanza all’universo beethoveniano che disvela all’ascoltatore in tutti i suoi orizzonti espressivi. La forza del brano, posto in apertura alle musiche di scena per l’omonima tragedia in cinque atti di Goethe, venne apprezzata anche da quest’ultimo che vi colse tutti gli ideali, sommamente cari al compositore, di libertà, eroismo e morte per il bene comune. L’incedere fiero della pagina è colto, nella fragranza degli impasti timbrici, dalla compagine tedesca la quale palesa una compattezza d’intenti perfettamente sintonica con gli intenti direttoriali. L’esibizione solistica di Saleem Ashkar, nell’ultimo concerto pianistico di Beethoven, rivela un’attenzione profonda per i dettagli che però, saltuariamente, rischia di togliere l’elemento emozionale all’esecuzione. La lettura si fa meno distaccata nel delicato e trasognante secondo movimento, Adagio un poco mosso, fino ad accendersi completamente nell’impetuoso Rondò finale, dove riconosciamo le cifre precipue di Ashkar, interprete dalla carriera brillante, che, per ringraziare il festante pubblico, concede al termine un bis schumaniano, Träumerei dalle Kinderszenen.
L’intervallo fornisce una cesura utile agli astanti per entrare nel panorama sinfonico tard’ottocentesco. L’imponenza della terza sinfonia di Brahms racchiude in sé la summa delle conquiste musicali a cui si era pervenuti nell’ultimo squarcio del secolo. La piena padronanza tecnica dell’autore si estrinseca in un lavoro grandioso, in cui risalta l’ammirevole cesello compositivo, animato dall’inserzione di elementi eterogenei. Grazie al suono terso e imperioso dei Bamberger, Eschenbach coglie le nuance espressive, sottolineate da un’intersezione vivace di intuizioni tematiche, di cui i quattro movimenti sono cosparsi. Le tre danze ungheresi, n. 3, 16 e 10, suggellano un programma già completo per varietà e prestigio delle opere proposte. Direttore e orchestra premiano l’attenzione e l’accoglienza veronese con una brillante esecuzione dell’ouverture da Le nozze di Figaro di Mozart.