Così è (se vi pare), di Luigi Pirandello, per la regia di Filippo Dini, la prima commedia della storia senza finale. Il tema religioso percorre tutta l’opera, a partire dal titolo.
“Un sogno: vidi in esso un cortile profondo e senza vie d’uscita”. Da questa inquietante immagine, per ammissione dello stesso autore, nasce, nel 1917, Così è (se vi pare), di Luigi Pirandello, la prima commedia della storia senza finale.
Nell'allestimento firmato da Filippo Dini, il tema religioso percorre tutta l’opera, a partire dal titolo che è un altro modo per dire “Amen”, ma soprattutto rappresenta una sfida all’interpretazione oggettiva della realtà: “se vi pare”, scritto tra parentesi, invece, ironizza sulla misera condizione dell’uomo contemporaneo, il quale si affanna (con passione) nell’ossessiva ricerca di una Verità che lo conduce inevitabilmente alla pazzia. Il sottotitolo, inoltre, specifica al pubblico che non si tratta di una commedia, bensì di una “parabola in tre atti”, dunque un racconto che contiene una morale.
Borghesi vs diversi
Pirandello presenta i tre protagonisti (il Signor Ponza, la sua misteriosa moglie e la madre di lei, Signora Frola), come sopravvissuti a uno dei fenomeni sismici più devastanti del Novecento: il terremoto della Marsica, che nel 1915 fece oltre trentamila vittime. La vicenda, ambientata in un piccolo centro della provincia, assume i contorni di un’indagine poliziesca: un autentico gioco al massacro tra i “diversi” e i “borghesi”, radunati nel salotto del consigliere Agazzi (Nicola Pannelli). L’allestimento condensa gli originari tre atti del testo in due tempi, con alcune battute affidate al personaggio dell’infermiera (Benedetta Parisi), che scandiscono i tre giorni durante i quali si svolge la misteriosa vicenda.
Il primo atto risulta piuttosto lento, proprio per la cospicua mole di informazioni che Pirandello mette a disposizione sulla sventurata condizione dei tre misteriosi protagonisti. Il cambio di marcia avviene nel secondo atto, quando la visione registica di Filippo Dini suggerisce un’interpretazione alternativa, che invita il pubblico a considerare pazzi non la triade dei “diversi”, ma il gruppo di pettegoli borghesi.
In questa direzione, si distinguono le interpretazioni di Mariangela Granelli (la signora Amalia) e Francesca Agostini (Dina Agazzi), esemplari nel loro appassionato tentativo di cercare a tutti i costi una verità che può portare esclusivamente sulla strada della disperazione.
Realtà e inconscio
Il regista (Filippo Dini) conserva per sé il ruolo del saccente Lamberto Laudisi, un infermo che si crede malato senza esserlo, e osserva con distaccato cinismo le reazioni di tutti gli altri personaggi. Un mediatore necessario, sospeso tra la realtà tragica e la dimensione onirica, espressa attraverso l’inconscio. Speculari tra loro le viscerali interpretazioni di Giuseppe Battiston e Maria Paiato, realisticamente credibili, quanto disarmanti in relazione al gruppo dei borghesi, nel difendere la propria condizione di sventurati, nonché ciascuno le motivazioni altrui.
Una scenografia che mostra e nasconde
La scenografia assume un ruolo drammaturgicamente rilevante, sempre in un’ottica onirica e di percezione soggettiva, quindi limitata, della realtà. Tre ingressi si affacciano su un interno borghese, in un palazzo d’altri tempi, con muri spessi che non mostrano al pubblico tutti gli oggetti di scena. Ma c’è un continuo ribaltamento della prospettiva, per cui lo spettatore è portato a sperimentare una visione differente dello spettacolo, che varia a seconda del posto che occupa in sala.
Spetta alla Signora Ponza, che piomba sul palcoscenico completamente fradicia per la pioggia, consegnare al pubblico, con un groppo in gola, l’unica verità possibile, anche se non risolutiva: «Io sono colei che mi si crede».