Lirica
COSì FAN TUTTE

Mozart hitchcockiano a Bergamo

Mozart hitchcockiano a Bergamo

Così fan tutte, ovvero come ridare all'opera giocosa di Mozart lo spessore e la dignità che le competono. Nel nuovo allestimento e nuova produzione del Bergamo Musica Festival "Gaetano Donizetti", Francesco Bellotto ha compiuto un percorso esordito dalla musica; atto dovuto ma ahinoi oggigiorno scarsamente praticato. Non vi è un testo letterario alle spalle del libretto di Lorenzo Da Ponte (se non spunti attinti a Ludovico Ariosto e Jacopo Sannazzaro) riguardante l'eccentrica macchinazione maschilista ideata per testare la fedeltà muliebre. Una sfida che Mozart affronta instaurando un rapporto dialettico tra la sua musica ed il testo tipizzato secondo i canoni dell'opera buffa; sovente discostandosene per allargare l'ottica sulla fragilità della sfera affettiva. Mozart prende sul serio l'azione di seduzione a ruoli invertiti che per Da Ponte è mero inganno, spalancando prospettive di assoluta profondità che indagano realisticamente la parte più interiore del cuore umano; mette a nudo i sentimenti e li analizza con una freddezza che il musicologo Raffaele Mellace ha definito "illuminista, quasi da anatomopatologo". Il sottotitolo recita La scuola degli amanti; assunto universale non più rivolto in via esclusiva al femmineo, attorno al quale il regista ha dipanato la rielaborazione intimistica mozartiana, sviluppandola e arricchendola di elementi originali. Constatato che nulla nella trama è in attesa di essere rivelato - lo svolgimento è evidente fin dall'inizio ed il finale addirittura preannunciato nel titolo - Bellotto ha impresso un colore di fondo ispirato al giallo di Alfred Hitchcock Rope ovvero corda (titolo italiano Nodo alla gola). Il film presentava una particolarità: l'antefatto era narrato solo nello spot promozionale e non nella pellicola. Con intuizione estremamente spiritosa, ben confacente al presente contesto, Bellotto, esclusivamente nel corso della conferenza preliminare, ha proiettato il suo script, dove il proprio nome era aggiunto ai titoli originali e ai fotogrammi di Hitchcock erano sovrapposte sequele di baci tra giovani coppie e foto d'epoca di meretrici in pose osé. La tecnica utilizzata dal grande Maestro britannico del cinema detta "piano sequenza" è stata tradotta in termini teatrali mediante l'uso di una struttura girevole (scenografie e costumi di Angelo Sala) che ha permesso di effettuare i necessari cambi di ambiente senza interruzione alcuna. I personaggi di Bellotto hanno così ruotato nel vortice di un rito collettivo che ha segnato il passaggio da una percezione falsata ad una autentica, in grado di cambiarli per sempre. Concetto espresso mediante gli oggetti di scena ai quali è stato attribuito un preciso riferimento simbolico, senza mutarne il significato semantico. In totale fedeltà drammaturgica, la vicenda è stata ambientata sul finire del 1940 in una casa incastonata, come fosse un nucleo protetto, tra i toni accesi dei vicoli di Napoli dove era parcheggiato un Maggiolino decapottabile, si aggirava un poetico Pulcinella e i marinai danzavano (movimenti coreografici di Alessia Vavassori) con prostitute dagli sgargianti abiti rossi. Identici i vestiti donati alle due protagoniste in grandi pacchi infiocchettati per essere indossati solo dopo aver ceduto alle lusinghe dei finti spasimanti. Riferimento cromatico utilizzato per esplicitare la consapevolezza dei veri sentimenti acquisita attraverso l'inganno. Una corda, la medesima hitchcockiana, ha annodato tra loro episodi e personaggi, palese rimando ai legami artificiali creatisi: stretta al collo di un pover'uomo fino a strangolarlo, esibita dalle peripatetiche, allacciata e slacciata ripetutamente dai polsi degli innamorati, conduttrice di elettricità ad un ferro da stiro-defibrillatore; brandita arma di seduzione o paventato sinonimo d'appartenenza amorosa. E' questa infatti opera di disincanto, dove viene uccisa l'idea stessa dell'amore; sia pur con un finale, dettato da Bellotto ed affidato ad uno sciuscià storpio ai piedi di una immagine votiva, recante un anelito di speranza, un protendersi verso la mozartiana elevazione sacrale. Gli interventi registici più decisi sono stati rivolti a non incespicare nei tranelli buffi del libretto, giostrato tra travestimenti inverosimili e gag cialtronesche. E' stata tracciata una precisa linea di confine a delimitare una fabula comica colta, intelligente ed elegante, nella quale i protagonisti hanno amato davvero e sofferto davvero; con attenta comprensione delle rispettive motivazioni. Se i personaggi si sono dimostrati miserabili, anche tutti gli spettatori lo sono stati empaticamente; quando i soggetti sono finalmente riusciti a guardare oltre, il palcoscenico ha trasmesso alla platea una spinta analitica capace di accompagnare nella medesima direzione. Spessore ideativo unito a eloquenza espositiva.  
Straordinariamente affiatato il cast, indistintamente dotato di notevoli mezzi vocali, omogeneo nella resa, nella tenuta, nelle timbriche perfettamente sposatesi nei pezzi d'assieme. Fiordiligi e Ferrando riflessivi, tormentati,  hanno affrontato gli accadimenti con serietà, dandovi un peso. Elena Monti, Fiordiligi civettuola, alla quale è sfuggito qualche déjà vu di gestualità settecentesca, dalle raffinate delicatezze canore e un bellissimo trillo naturale, onorevolmente destreggiatasi nelle agilità, ben rapportata alla vocalità mozartiana. Un Ferrando romantico quello di Anicio Zorzi Giustiniani, attento alle mezze voci ed ai pianissimo in una linea di canto che ha trovato il punto di forza nella grazia più che nella potenza. Dorabella e Guglielmo hanno denotato indoli taglienti, poco propense agli scrupoli, impulsive e naturali. Josè Maria Lo Monaco, che abbiamo da poco plaudito sulle medesime tavole come Elisabetta in Maria Stuarda, ha confermato possedere una vocalità importante, duttile ed eclettica; il colore brunito e rotondo ha reso sensuale e maliziosa Dorabella. Christian Senn estroverso Guglielmo, di grande spigliatezza scenica, dalla voce di tutto rispetto, chiara e incisiva. Infine l'ultima coppia, Don Alfonso e Despina accomunati dall'interesse, filosofico per l'anziano, economico per la serva. Don Alfonso cinico materialista, personaggio rancoroso e infelice che non trova modo di esprimersi se non mediante citazioni, è stato Omar Montanari, convincente e sicuro nel canto arricchito dalla recitazione ottimamente calibrata e scevra da facili eccessi; ben avrebbe figurato anche nel teatro di parola. Roberta Canzian, voce sottile, armoniosa, assai adatta al ruolo di Despina sostenuto con misurato garbo nei travestimenti anche vocali. La partitura di sublime levatura non poteva che essere affidata alle mani di un autentico interprete. Stefano Montanari ha ben compreso il peso e l'importanza dei colori timbrici orchestrali; ha racchiuso tempi vivacemente intesi e liberatori respiri ieratici in una mirabile simmetria d'insieme. La più che spiccata sensibilità lo ha portato ad una direzione intensamente vissuta, basata sull'intendere la musica come potentissimo veicolo di umanità: confessiamo di avere a più riprese staccato gli occhi dal palco, conquistati dalla sua coinvolgente partecipazione fisica. Sotto la sua bacchetta l'Orchestra e Coro (diretto da Fabio Tartari) del Bergamo Musica Festival si sono dimostrati malleabili e ricettivi, portando a compimento una prova cristallina. Teatro "Donizetti" al gran completo in ogni ordine, carico di emozioni.

Visto il 09-11-2012
al Donizetti di Bergamo (BG)