Eleganza è la prima ed immanente impressione che giunge dal primo sipario fino all'ultimo applauso del Così fan tutte che segna il ritorno di Riccardo Muti al Teatro di San Carlo di Napoli.
Eleganza è la prima ed immanente impressione che giunge dal primo sipario fino all'ultimo applauso del Così fan tutte che segna il ritorno di Riccardo Muti al Teatro di San Carlo di Napoli.
Ricercatezza azzurra
Tutto, dalla regia alle voci, dai volumi d'orchestra alle sfumature scenografiche, dai movimenti alla resa dei lazzi geniali di Mozart e Da Ponte, viene disegnato con una mano ricercata e piena di grazia: dalla ouverture che apre una sala della pallacorda, ad una Napoli soltanto evocata, rappresentata come in una nuvola dalle mille nuances nei colori e negli umori, con il mare sempre al centro degli snodi narrativi e delle bellissime soluzioni dell'allestimento.
Con le scene filigranate di Leila Fteita, i costumi al solito bellissimi di Alessandro Lai e le suggestioni delle luci di Vincent Longuemare, Chiara Muti indovina tutto, e soprattutto concede una coerenza interna che si osserva anche nei dettagli: se è facile cogliere le preziosità di elementi di arredo come la giostrina, le farfalle all'amo, l'uso del ferro battuto, le sottane adolescenziali ed un Cupido in mongolfiera, è ancor più interessante il senso estetico dei personaggi minori che si affacciano sovente da più piani per sottolineare coi loro gesti l'atmosfera e la partecipazione dell'ambiente, così come la sapiente distribuzione del coro.
Da ricordare in particolare la scena del risveglio dal veleno, disegnato con le bacchette e i nastri della ginnastica ritmica, a simboleggiare l'unione fra tutti attraverso la vita che le sorelle infondono agli antichi/nuovi amanti.
Al piano terra della casa-museo di Wolfgang Amadeus Mozart, a Salisburgo, sono conservati alcuni fondali originali che il Genio commissionò per allestire la prima assoluta, avvenuta al Burgtheater di Vienna il 26 gennaio 1790 sotto la sua direzione: chi vi scrive può testimoniare che il ricordo dei pastelli di quel golfo di Napoli tornano subito alla mente. Erano il suo nostalgico omaggio al ricordo del viaggio compiuto in quella che fu la capitale della musica al suo tempo, dove aveva cercato di ottenere spazio proprio nel teatro che oggi ha ricostruito quell'atmosfera.
Soave è davvero il vento
A 34 anni dal Macbeth del 1984, Riccardo Muti torna a dirigere un'Opera nella sua città, alla guida di un'Orchestra della Fondazione che si presenta in stato di grazia, e sia l'accoglienza sia la prestazione sono di quelle memorabili. L'abitudine dell'osservatore a ricercare linee interpretative della bacchetta svanisce subito, davanti ad un equilibrio che se da un lato sembra non farti soffermare sulle possibilità e variazioni, dall'altro fa intendere che è proprio questo, il risultato di una gestione senza eguali.
E come preziosità, nonostante l'intelligente capacità di sottrazione più che di aggiunta, Riccardo Muti ha dichiarato di aver voluto riservarsi, nel finale, il piacere di interpretare la situazione di generale sfiducia nella virtù in maniera contraria alla tradizione tedesca, che la vuole giocosa e scorrevole: ed infatti qui Muti propone quello che gli sembra più un canto delle sirene di Ulisse nel golfo di Napoli, perplesso e seducente.
Apparendo e svanendo fra deliziose barche in legno e giardini all'italiana impreziositi con personaggi mascherati (tutti con le corna, ça va sans dire!), i cantanti partecipano della soavità ciascuno in maniera diversa: se Fiordiligi (Maria Bengtsson), con la sua virtù messa in gioco, esibisce nei toni scuri un migliore aspetto nel fronteggiare i mustacchi albanesi con temperamento (“Come scoglio immoto resta”), Dorabella (Paola Gardina) spinge l'interpretazione attoriale sulle arguzie scaltre della tentatrice/tentata, e distingue la psicologia delle sorelle con la vezzosità degli acuti e la precisione d'intonazione (“E’ amore un ladroncello”, “Smanie implacabili”).
Despina (Emmanuelle de Negri) propone la voce impertinente che ci si aspetta dal personaggio e vi aggiunge ottima interpretazione nei travestimenti del copione, dal notaio al medico, conferendo comicità e leggerezza (“Una donna a quindici anni”) ed esibendo un solido apporto nei concertati. Il burattinaio/filosofo Don Alfonso (Marco Filippo Romano) ha un'aria forse anche troppo indulgente, ma per emissione, dizione e timbro appare la nota migliore nel reparto maschile, nel quale Pavel Kolgatin fa di Ferrando un innamorato deluso e irritato, e si fa apprezzare per la pulizia in particolare con “Aura amorosa”, mentre Guglielmo (Alessio Arduini) conferisce un bel timbro al suo baritono, soprattutto sul forte (“Donne mie la fate a tanti”). Da notare un particolare nel recitativo della scena quarta del secondo atto, dopo il duetto con coro “Secondate, aurette amiche”: qui Ferrando esibisce una sorprendente interpretazione che non sembra casuale: quando pronuncia “Parla pur tu” rivolgendosi a Guglielmo, modifica l'accento e rende l'espressione... in napoletano.
Le parole di encomio spese da Riccardo Muti per il Coro, diretto da Gea Garatti Ansini, e per l'Orchestra del San Carlo (“Ho trovato un teatro in grande forma, chi lavora qui merita rispetto”) fanno pendant con l'accoglienza riservatagli dai suoi concittadini, perfino con uno striscione in occasione dell'ultima replica.
Appuntamento nel 2020 alla Wiener Staatsoper (è una coproduzione con l’Opera di Vienna), e poi a Tokyo. Qui è stato un trionfo.