Accordino ribadisce più volte quanto sia confortante una vita che è un susseguirsi di “tutto ordinario, tutto prevedibile”: il rito del mattino, la colazione con la moglie e i figli, andare al lavoro...
Il palco è immerso nel buio, Accordino entra lentamente e pone domande in modo sempre più precipitoso, mentre dei fasci di luce illuminano uno per volta i fogli che pendono leggeri dal soffitto raffiguranti figure stilizzate apparentemente prive di collegamento. Quando la velocità delle domande poste diventa insopportabilmente martellante, le luci si accendono, Accordino con il volto teso afferma che quelle domande sono la fine di una storia che ci avrebbe raccontato.
Il one man show inizia ora. Accordino delinea la figura di un uomo normale, con le sue abitudini, le sue soddisfazioni e le cose che ama: quest’uomo dal nome sconosciuto ha un buon lavoro, una moglie, due figli, una macchina, gli impegni infrasettimanali, degli amici fidati, il collega con cui scambiare due parole, le vacanze da organizzare. La descrizione resta vaga per dare allo spettatore la possibilità di riempire i vuoti e le reticenze con i dati della propria vita e immedesimarsi totalmente con il personaggio. In questa operazione si trova già un dato molto importante: mettere in scena la vita di una persona normale, una vita qualunque significa affermare che vale la pena raccontarla.
Accordino ribadisce più volte quanto sia confortante una vita che è un susseguirsi di “tutto ordinario, tutto prevedibile”: il rito del mattino, la colazione con la moglie e i figli, andare al lavoro, fare ogni giorno le stesse cose, tornare a casa per cena, stare con la famiglia, la sera fare un giro a piedi da solo. Una routine continua, inattaccabile che continua indisturbata e si inscrive nel quadro perfetto della vita del personaggio, dove le poche zone d’ombra fanno paura. Questo susseguirsi di eventi inizia però ad essere vissuta con una certa nevrosi e il personaggio si sente a disagio e ingabbiato.
Questa sensazione porta il personaggio ad essere più ricettivo, ad aprire gli occhi: inizia ad accorgersi delle cose e delle persone, gesto affatto banale. In questo frangente vede per la prima volta la signora Bellami, sua vicina di casa, e si pone delle domande su di lei; improvvisamente questa signora incrociata più e più volte diventa un essere umano, una persona degna di attenzioni su cui interrogarsi. La signora Bellami è la bellezza degli incontri casuali e la dimostrazione del fatto che se camminiamo sempre con gli occhi bassi non ci accorgiamo della bellezza semplice delle persone e delle cose, che è anche la più profonda. Successivamente il personaggio viene sottoposto dalla psicologa a un esercizio che consiste nel fare un gesto istintivo alle parole che lei pronuncerà; l’esercizio apparentemente semplice, svela che banalmente alla parola “naso” ci si tocca il naso, ma anche che alla parola “moglie” il viso si contrae in una smorfia, alla parola “capo ufficio” le mani imbracciano un fucile immaginario, alla parola “lavoro” si guarda l’orologio con preoccupazione mentre il tempo scorre inesorabile. Attraverso i gesti la verità emerge. Ora i fogli che pendono leggeri sulla testa del protagonista somigliano a delle minacciose spade di Damocle.
Accordino anima questo personaggio con precisione e trasporto, così che una forte attesa aleggia in platea. Succede allora un fatto finalmente imprevisto: il personaggio perde l’uso della parola, dice parole che non hanno significato, e nonostante questo è calmo e sereno; capisce cosa ha perso ma non ha paura.
La perdita della parola è significativa: il linguaggio infatti è anch’esso una struttura e ci permette di comunicare. Ma in questo caso la parola, mezzo sublime per eccellenza, perde il suo significato, diventa un suono oppure non viene ascoltata. Il personaggio non sa più usare questo magnifico strumento, il linguaggio, e per questo il regista glielo toglie. Ma questo togliere non crea senso di mancanza, ma di pace, perché bellezza è anche perdere, liberarsi delle strutture per ricominciare.
A questo punto il personaggio si reca al parco. Qui gli sopraggiunge un felice ricordo d’infanzia, nel quale si trovava in macchina con i suoi genitori e stava mangiando un gelato ai mirtilli, e intanto immaginava che questo gelato si espandesse sempre più, fino a ricoprirgli la faccia, le mani, il corpo, il mondo intero in maniera inarrestabile. Il flusso della fantasia viene interrotto dal padre che lo rimprovera per aver sporcato il sedile dell’auto e che lo esorta a pulire. Il gelato al mirtillo è qui rappresentante della bellezza ingenua, che però perdiamo crescendo, quando non sporcare la macchina diventa più importante che godersi un gelato. É in questo momento che il nostro personaggio, allora bambino, capisce che la sua vita non sarebbe sempre stata così spensierata, e inizia a fare al padre le domande con cui si era aperto lo spettacolo: stai bene? Hai mai fatto del male? Allora? Come ti senti?
Lo spettacolo si conclude con la poesia Istanti di Jorge Luis Borges, esaltazione della vita goduta in ogni suo singolo e semplice momento, ma Accordino vi cambia il finale, esortando lo spettatore a vivere più leggero e senza gabbie per non perdere così tanta bellezza.