Cosa sono esseri umani sperduti nell’universo? Quante sono le situazioni che possono accadere loro? E quante sono le cose che possono accadere quando loro si trovano ad interagire? Se prendono un’ iniziativa, quali e quanti risultati diversi possono ottenere? E questi 2 minuscoli esseri ne sono consapevoli?
Tutte queste domande derivano dalla teoria del caos originario, ma le ha fatte proprie e prova a dargli una risposta la fisica quantistica.
Nick Payne è uno dei giovani drammaturghi più affermati d’Inghilterra ed è l’autore di “Constellations”, titolo originale del testo allestito da Silvio Peroni, giovane ed apprezzato regista italiano esperto di autori teatrali inglesi altrettanto giovani. D'altronde al giorno d’oggi, ma non solo, Londra e il territorio del Regno Unito in genere sfornano la miglior drammaturgia in circolazione e soprattutto possiedono una grandissima quantità di autori drammatici, grazie anche all'enorme attenzione che il popolo inglese nutre per il teatro.
I personaggi della pièce sono Roland e Marianne, italianizzati in Orlando e Marianna, un apicoltore e una studiosa di fisica quantistica, che si incontrano, apparentemente per caso e tentano di interagire, non sapendo e non aspettandosi come l’altro potrebbe reagire.
Alla sequenza di scene costituite dalla moltitudine di finali diversi che gli incontri di Orlando e Marianna potrebbero avere, si inserisce, distinta stilisticamente dalla prima, una seconda sequenza di scene e di rispettivi finali, che trattano il tema della malattia e come questa viene affrontata dai due protagonisti.
Il minuzioso testo di “Costellazioni”, nonostante l’enorme quantità di situazioni simili-ma-sempre-diverse che veicola, è chiaro, essenziale ed interessante. Una trama classica con inizio-svolgimento-fine non c’è; ma questo non ha importanza perché il testo, alla stregua di un teatro dell’assurdo evoluto, illumina e sviluppa l’argomento al meglio e la regia di Silvio Peroni ne esalta con acuta sensibilità e ferma intelligenza i caratteri essenziali, ogni singola scena e contemporaneamente porta avanti l’assunto di fondo, che mette in risalto la disperata solitudine e il bisogno di comunicazione che pervade le persone all’interno del cosmo, più esse appaiono felicemente alla ricerca di qualcosa o disponibili al dialogo.
Definire a quale genere appartenga il testo, come molte delle opere del teatro contemporaneo, è problematico. Potrebbe essere una commedia, ma man mano che ci avviciniamo al finale (dello spettacolo, non delle situazioni, che per loro natura potrebbero continuare all’infinito), la seconda trama, quella della malattia, con i suoi risultati pare prendere il sopravvento e la pièce pare farsi sempre più tragica. Non è una tragedia perché non raggiunge quel livello. Non è una commedia dell’assurdo perché l’aspetto centrale non è la mancanza di comunicazione tra i due protagonisti (sebbene tra i due personaggi, quasi due cavie nelle mani di Nick Payne, non paia esserci una vera e propria comunicazione, spesso la cercano, ma volte interagiscono solamente). Si tratta solo di un montaggio (come lo chiama Alessandro Tiberi) di scene uguali ma non finale diverso. Forse ha qualcosa della soap-opera, una serie infinita di eventi simili, con dei finali sempre diversi e la sequenza non è mai conclusiva.
Probabilmente è giusto definirla “commedia quantistica”, magari un nuovo genere.
Margot Sikabonyi e Alessandro Tiberi, entrambi diversamente bravi, reggono con brio e naturalezza i loro ruoli dall’inizio alla fine dello spettacolo. Entrambi sono giovani ed entrambi sono più o meno noti per attività cinematografiche, ma hanno già una lunga carriera alle spalle che permette loro di interpretare tutte le infinite sfumature che un testo di questa grande complessità richiede ad un attore. La loro recitazione è chiara. Sono pienamente in gioco, senza risparmiarsi, adeguandosi alle sfumature della propria parte, con una presenza in scena sempre energica e comunicativa, in perenne e fertile contatto tra loro e, spesso, toccando le corde del pubblico. I veloci cambi di scena previsti dal testo sono curati e producono interessanti quadri figurativi svolti in piena continuità come in una specie di danza continua.
La scenografia di Marta Crisolini Malatesta (comprensiva delle luci di Valerio Tiberi) è uno dei punti di forza dello spettacolo. Non è un luogo ben definito, se non quello che potrebbe apparire come l’universo con tutti i suoi pianeti e le stelle che circondano i nostri due piccoli ignari eroi della casualità della vita. La situazione che vivono è una su un totale di chissà quante, mentre il mondo prosegue il suo corso. Persino quei “rumori” in alcuni cambi scena possono richiamare alla mente quelli che si sentono quando i vari tg trasmettono le immagini degli astronauti nello spazio. Un luogo che più che simbolico o evocativo è ignoto e da esplorare.
La regia di Silvio Peroni è, quindi, semplice, ma al contempo creativa, convincente ed illuminante.
Uno spettacolo pieno di ritmo.