Una distesa di coperchi circolari, recuperati da barili di petrolio, ricoprono il pavimento di un anonimo salotto di un albergo sul lago. I protagonisti di Creditori – un testo del drammaturgo svedese August Strindberg, diretto da Luigi Guaineri – si muovono quasi senza rendersene conto sul placido, quanto impervio terreno delle proprie ossessioni e di rancori realmente mai sopiti.
In un’atmosfera pregna di suspence crescente, il pubblico assiste a una vendetta studiata con precisione e realizzata con tenace ferocia, fino alla resa finale.
La recitazione dai toni realistici e tragici, con qualche risvolto leggero, e la disinvoltura con la quale i protagonisti guadagnano e agiscono lo spazio scenico, nell’impegnativo allestimento voluto dal regista Guaineri, aiutano nel mantenere costante l’attenzione del pubblico.
Tutti i personaggi si trovano in bilico – non solo fisicamente, dunque, per via di come è stato allestito il palco – tra la condizione di “creditore” e quella di “debitore”. Un giovane pittore in ascesa, Adolf (Fabrizio Martorelli), un maturo professore, Gustav, che ormai non ha più niente da perdere (Fabio Banfo), e la sua consorte di un tempo, Tekla (Monica Faggiani), attuale moglie dell’artista, dalla quale entrambi risultano chiaramente ossessionati. I due personaggi maschili (Gustav e Adolf) sviluppano un tipo d’interazione che si può ritrovare anche nel più recente Variazioni enigmatiche, di Eric-Emanuel Schmitt, dove invece il personaggio femminile (Helene), viene solo citato e non figura mai in scena.
Fabrizio Martorelli, dopo alcune interpretazioni in ruoli brillanti (particolarmente apprezzate a Torino sotto l’egida di registi quali Beppe Navello e Claudio Insegno, ndr.), si dimostra un interprete capace di calamitare l’attenzione dello spettatore anche su un versante squisitamente drammatico, in un ruolo che rasenta il paranoico.
Fabio Banfo è un Gustav cinico e calcolatore, che sfoga il proprio istinto di vendetta (forse, l’unica carta che gli è rimasta da giocare, ndr.), con spietata freddezza, senza mai abbandonarsi all’emozione. Il suo bersaglio è Tekla, ma è nel rapporto con Adolf per buona parte della pièce, che l’uomo dimostra la sua spiccata abilità manipolatoria, quasi come fosse Lord Henry Wotton alle prese con un Dorian Gray ancora senza macchia.
Monica Faggiani interpreta una Tekla matura e ben consapevole delle proprie fragili ambiguità. In quanto oggetto di ossessione, vorrebbe apparire come una femme fatale, ma proprio il sottile, ma profondo legame che vive con i suoi due “creditori”, glielo impedisce, al punto da renderla ancora più esposta al rancore e alla vendetta del suo carnefice.
Strindberg confeziona un atto unico intriso di ferocia, sopraffazione ai limiti della misoginia, e humour nero. La primordiale contrapposizione tra maschile e femminile sfocia in una “lotta di cervelli” , senza via di scampo, in cui la donna resta, tradizionalmente, il motivo ti conflitto.
The Winner Takes It All, verrebbe da dire, citando il titolo di una celebre canzone degli Abba. I conti, alla fine, in qualche modo, devono tornare. E il più debole soccombe…