Cyrano de Bergerac, animo temerario e fiero, un’esistenza vissuta pericolosamente all'insegna del coraggio e dell’integrità morale ed etica, basata sul principio di non piegarsi mai alla mediocrità e alle convenienze, nel non accettare l’ipocrisia e la falsità, ma di combatterle costi quel che costi, ne fanno un eroe romantico e di straordinaria modernità.
Ma chi è Cyrano, lo scontroso quanto abile spadaccino guascone dal naso ingombrante, o il sublime scrittore e poeta costantemente in bolletta, dall'irresistibile vitalità?! La sua passione per la poesia e per i giochi di parole, con i quali ama sbeffeggiare e ridicolizzare i suoi nemici, in costante aumento a causa del suo carattere rude e della sua natura poco incline al compromesso e alla condiscendenza, al suo profondo e radicato disprezzo verso i potenti e prepotenti.
Cyrano de Bergerac, testo immortale, qui nell’elegante traduzione di Mario Giobbe, che ha rispettato la forma originale in endecasillabi, è riproposta dal Teatro di Roma, con la regia di Daniele Abbado e la magistrale interpretazione di Massimo Popolizio nelle vesti di Cyrano.
Le scene e i costumi, curati da Graziano Gregari, sono essenziali e funzionali; la proposta scenica, all'insegna della leggerezza, è rappresentata da una camera ellittica semivuota chiusa da una cupola, di colore grigio dove un praticabile composto da panche di legno dividono di volta in volta lo spazio scenico, ricreando i momenti dell’azione. I costumi grigi o bianchi, ci rimandano a un’idea di atemporalità, di sospensione, più vicini all’epoca dell’autore che a quella dell’ambientazione storica della vicenda. L’allestimento scenografico è fondamentale, poiché ci permette di arrivare all’essenza dell’idea registica di Abbado, che sceglie di circondare il protagonista, Cyrano, di una corte povera, dalle pareti nude, dove domina un’atmosfera austera e minimalista, con luci irreali e fredde; Cyrano è un personaggio che vive di coraggio, di istinto e di parole, non potendo vivere una vita vera di sentimenti e di rapporti umani: tutto in lui, tutto ciò che prova e che gli succede, dalla passione amorosa alle domande esistenziale sulla propria condizione di diverso, di brutto, si traduce in parole, in una “esibizione”della sua arte dialettica, sua forza e sua maschera.
La chiave di lettura di questo nuovo allestimento del celebre testo di Rostad è l’amore, l’amore cercato, impedito e quindi espresso, manifestato per interposta persona se non affidato alla scrittura: Cyrano ama Rossana, la quale a sua volta è innamorata, ricambiata, di Cristiano, le cui parole d’amore sono di Cyrano, che gliele ha suggerite nella “celebre” scena del balcone o addirittura scritte nelle lettere attribuite a Cristiano.
Il tema centrale attorno a cui ruota lo spettacolo è l’impossibilità di amare, come dice lo stesso protagonista, Massimo Popolizio: “Cyrano è un testo dove l’amore è inteso come qualcosa che nessuno può ottenere, nonostante le parole d’amore siano tantissime. Forse il rapporto più interessante è proprio quello che lega Cyrano a Cristiano. In fondo il vero rapporto d’amore è questo: tentare di arrivare all’oggetto desiderato attraverso la figura di un altro.”
La forza propulsiva del testo e dello spettacolo, nella rilettura di Abbado, è il sentimento, l’amore appunto, i duelli, la guerra, il naso sono solo elementi di contorno, infatti come afferma acutamente l'attore Massimo Popolizio nei panni del protagonista :« […] Io di Cyrano mi fido, convinto come sono che non è un naso a fare un personaggio».
Parlando di Cyrano, Populizio lo definisce come “un utopista che pretende di cambiare il mondo con la forza delle parole, un uomo solo che passa la notte a fantasticare straordinari viaggi sulla luna, certo più vicino a Don Chisciotte che a D'Artagnan”.
Il Cyrano consiste nello scorrere fluido della parola teatrale nobilitata dal verso, caratterizzato da una leggerezza calviniana di fondo: vi è un uso intenso e intelligente della parola, del verso libero, contrappunto alle schermaglie amorose e alle irriverenti provocazioni ai danni dei prepotenti di turno.
Ciò è stato possibile grazie alla straordinaria interpretazione di Massimo Popolizio, che è riuscito a infondere a Cyrano un’inquietudine interiore e una irrequietezza tipica della nostra epoca: il suo Cyrano è un sognatore, un idealista, uno spadaccino, un eroe, un guerriero, un anarchico, un poeta e utopista che dunque non ha bisogno di sfarzo esteriore.
Popolizio è qui circondato da una compagnia numerosa, efficiente e giovane: Viola Pomaro è una Rossana entusiasta, ma non troppo spontanea, a tratti risulta un po’ troppo artificiale, monocorde, sia per il registro vocale piatto e immutato durante tutto lo spettacolo sia per la dizione non perfetta, che è richiesta per interpretare e declamare un testo del genere; purtroppo anche per Cristiano, interpretato da Luca Bastianello, posso esprimere il medesimo giudizio, risulta abbastanza credibile ma alquanto “piatto”; convincente e intensa è invece la prova si Giovanni Battaglia, che interpreta Le Bret, l’amico storico di Cyrano.
La messa in scena è essenziale, segue uno schema preciso, semplice, eseguito in maniera impeccabile e puntuale da tutti gli attori, sebbene non apporti alcun tipo di innovazione, anzi a volte il rischio è che questo struttura così ben definita finisca per "costringere", o meglio "indurre" gli attori a una recitazione vuota e a tratti rigida.
La regia di Daniele Abbado, discreta ma attenta, sceglie di affidarsi, nell’analizzare e indagare la complessa psicologia di Cyrano, all’intensa prova di Massimo Popolizio, la cui interpretazione è matura e libera da schemi e strutture analitiche e intellettuali tipiche del “teatro di regia” da cui proviene, è misurata e vibrante, riuscendo a non cedere a un facile istrionismo, ma piuttosto soffermandosi sugli aspetti più pensosi, malinconici e utopici del personaggio e del testo: la straordinaria interpretazione di Massimo Popolizio è il valore aggiunto a questo allestimento ben costruito sì, ma poco coraggioso. Cyrano è una un grande prova d’attore per Populizio, simbolo da sempre del teatro ronconiano, poiché questo personaggio gli permette di esplorare la propria creatività, divertendosi a giocare con le innumerevoli e molteplici possibilità che un personaggio del genere può offrire.
Popolizio ci restituisce un Cyrano insolito, singolare, un uomo moderno che «risponde con la poesia alla volgarità della vita»: il suo è un personaggio malinconico e antieroico, lui indaga la dimensione più introspettiva e intima di Cyrano; Popolizio ha la capacità e la bravura di saper rendere spontaneo e inaspettato ogni passaggio del testo, di rendere la “parola” viva e reale, riuscendo a muoversi con agilità e maestria tra ironia e follia poetica, dramma e commedia.
Massimo Popolizio dimostra di aver compreso a fondo il suo personaggio, la logica del suo agire, la sua forza, le sue fragilità, l’essenza della sua poesia, le sue debolezze restituendo a Cyrano una sicurezza nella presenza scenica e una forza nella declamazione dei versi.
Cyrano è un idealista, un utopico, lancia delle frasi, delle parole senza sapere dove arriveranno – provoca. L’istrionismo verbale del personaggio si sposa con l’istrionismo attoriale dell’eccellente interprete. L’attore dichiara in un’intervista di aver accettato di interpretare il testo di Rostad per il finale: la sua scommessa era di poter commuovere ancora con questo personaggio.
Cyrano è un uomo tanto abile con le parole e la spada, dotato di una dialettica vivace e caustica quanto profondamente timido e complesso. Lui è un uomo che ha amato profondamente una donna, Roxana,e l’ha amata tutta la vita, in silenzio, da lontano. Ha una dote insolita per un uomo: il pudore ed è per pudore che ha temuto le donne e nella sua vita non ne ha mai avute, la sua incapacità di amare “dal vivo” una donna dimostra il suo senso di inadeguatezza e di vergogna. È un candido, un ingenuo, dotato di una certa fragilità nonostante la maschera pubblica che indossa.
Merito di Popolizio è aver saputo dare il giusto respiro e la giusta “leggerezza” al verso - il cui uso è inusuale sulle scene italiane; infatti quasi due ore di spettacolo in versi rischiava di risultare pesante e “faticoso” da seguire, ma grazie alle straordinarie capacità attoriali di Popolizio e alla lucida lettura di Abbado l’effetto che si ottiene è di scandire la realtà, prendendo le distanze dall'immediatezza quotidiana per rivelarne altri aspetti. Uno degli elementi fondamentali di questo testo è il potere seduttivo ed evocativo delle parole.
Infatti sia dal punto di vista drammaturgico che quello della messa in scena si assiste al trionfo della parola: Abbado e Popolizio riescono a trovare un equilibrio tra un certo istrionismo e la necessità emotiva di pronunciare ancora oggi le parole di Rostand.
Quest’opera ha un ampio respiro, sebbene il regista e il protagonista abbiano scelto come dominante espressiva la leggerezza, che si esprime attraverso l’agilità del verso. Come ho già detto la centralità è della parola: il verso si fa portatore di verità emotive, rende concrete e reali le situazioni, dà volto e voce ai pensieri dei personaggi, anche quelli più intimi e inconfessati.
Il Cyrano De Bergerac è anche un testo che ci parla della grandezza e dell’imperfezione dell’essere umano, dei suoi sentimenti e tentativi di mettersi costantemente alla prova di superare i propri limiti: è una commedia di pensiero e parola, in cui vita immaginata e vita concreta sono strettamente e intimamente connesse.
“Non posso fare attendere il raggio di luna che è venuto a prendermi”: ci saluta così l’intenso personaggio di Cyrano de Bergerac, una figura che è un groviglio denso di sentimenti e emozioni contrastanti. Il regista Daniele Abbado dice che «Soltanto in punto di morte Cyrano trova il coraggio di uscire da un'ombra durata quindici anni, per svelarsi a Roxanne e a se stesso, concludendo in tal modo il suo rocambolesco percorso terreno. Un amore, sembra dirci, non ha bisogno di essere condiviso per essere esemplare. Cyrano lo sconfitto, suggeritore della vita e dell’opera di altri, ci indica passaggi dell’esistenza che non conosciamo, mescola estetica e vita - vita avventurosa e vita letteraria […] Quando se ne va, porta nel mondo delle ombre il suo gran naso, simbolo di libertà, indipendenza, diversità, marchio di un eroe che si batte fino in fondo anche contro l’impossibile, persino contro le tenebre».
Visto il
08-12-2009
al
Arena del Sole - Sala Leo de Berardinis
di Bologna
(BO)