Prosa
CYRANO DE BERGERAC

Una solitudine troppo rumorosa

Una solitudine troppo rumorosa
Jesi, teatro Pergolesi, “Cyrano di Bergerac” di Edmond Rostand UNA SOLITUDINE TROPPO RUMOROSA In questi giorni in cui “Ad alta voce” su Radiotre Fausto Parravidino legge “Ho servito il re di Inghilterra” prendo in prestito il titolo di un altro romanzo di Bohumil Hrabal per cercare di rendere le emozioni di questo spettacolo. Cyrano è una figura talmente nota nella cultura e nella società da porsi quasi come archetipo. Proprio per questo però se ne conoscono davvero solo alcuni tratti, che poi sono quelli tradizionalmente riferiti, dal naso all'apostrofo rosa tra le parole t'amo. Massimo Popolizio è il grande, inarrivabile attore che siamo abituati ad applaudire ed ammirare. Il suo talento a servizio di Cyrano materializza sul palco un nuovo eroe, che ha i tratti della misantropia, della morale controcorrente, della rigidità nei principi (tratti che ben superano la incapacità di amare scontata e troppo frequentata). Però ancora di più Popolizio fa emergere, con misura, una grande sensibilità e la sofferenza di Cyrano, contemperata da ironia e disincanto ai limiti del grottesco. Cyrano è abile con le parole, ma ciò lo destina alla solitudine, all'incomprensione, addirittura alla timidezza nel manifestare l'amore o addirittura nel provare amore, pensando di non valere nulla a causa di quella appendice fuori misura sul viso. Così prova una sorta di frenesia compulsiva nel crearsi nemici. Cyrano manca di fiducia e si chiede: “dov'è la fiducia in sé stessi?”. Altruista, ironico, il Cyrano di Popolizio crede profondamente nell'amicizia e rimarca di essere sì un poeta, ma un poeta di nessun protettore, libero. E solo. Nell'atteggiamento e nell'abbigliamento ricorda un poco un certo Chaplin, stralunato, quasi barbone. E la nostalgia diventa un “male nobile”: quella nostalgia che è il colore dominante della messa in scena, perchè si vive non per quello che è stato ma per quello che sarebbe potuto essere. Il sogno di quell'amore impossibile, quel sentimento irrisolto se non in un improbabile triangolo. Nella seconda parte la guerra cambia i presupposti e i punti di vista. Cyrano ha uno strano rapporto con la morte, che non teme e che sfida: “morire non è terribile, non rivedere Rossana lo è”, mentre il suono della battaglia si fa più forte, spezzato dal canto di Rossana. Cyrano si batte per l'inutile, da lui percepito come vitale, essenziale, volutamente inevitabile: si vive dando corpo alle ombre. La forza è solo nella parola: sarà la voce di Cyrano la “voce nuova” che a Rossana, dopo anni in convento, rivela un'anima. Ma sarà troppo tardi: Cyrano muore. Lo spettacolo rende la sensazione di un sogno, ambientato in un emiciclo celeste-grigio dominato da uno zoccolo marmoreo con sopra una parete che ricorda un cielo nuvoloso (opera di Graziano Gregori). I costumi, dello stesso Gregori e di Carla Teti, situano l'azione alla fine dell'Ottocento, l'epoca della scrittura del testo. Le luci di Angelo Linzalata, in una messa in scena spoglia, sono essenziali: qui sono molto evocative e contribuiscono non poco alla riuscita, insieme ai suoni perfetti e alle musiche di sapore francese curati da Hubert Westkemper. La regia di Daniele Abbado imprime ritmo e muove sapientemente i numerosi attori. Gli accorgimenti scenici sono da commedia dell'arte, come le luci sulla ribalta oppure il fatto che basti uno sbuffo di farina per ricreare la pasticceria. Panche vanno e vengono, paretine vengono calate dall'alto per suggerire gli ambienti, fino all'emozionante ed atteso momento del balcone, invero una pedana sospesa con funi a metà altezza, dove Rossana è isolata, inarrivabile come un miraggio se non con il suono delle parole. E allora Cyrano sciorina la celebre tirata con un ritmo quasi rap, accompagnandosi con lo schiocco delle dita. Se Massimo Popolizio giganteggia, i comprimari sono adeguati ai ruoli. Cristiano, il “bel bambolino”, è Luca Bastianello che, con un intenso colore di voce, rende un Cristiano acerbo, poco più che adolescente, scattante e volitivo. Dario Cantarelli presta la voce perfettamente aspra all'inevitabilmente antipatico De Guiche. Giovanni Battaglia è un convincente Le Bret, Elisabetta Piccolomini la governante incallita fumatrice. La Rossana di Viola Pornaro resta un po' dura e rigida sia nella voce che nell'atteggiamento. Si ride, ma scappa anche qualche lacrima. Teatro gremito, moltissimi applausi. Visto a Jesi (AN), teatro Pergolesi, il 03 febbraio 2010 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Comunale di Vicenza (VI)