Corrado D’Elia, con lo spettacolo Dante, Infermo, si confronta con un genere performativo delicato, la lettura ad alta voce. È la Divina Commedia che può così vedersi compiuta nella forma che più le appartiene. Grazie al corpo e alla voce dell’attore la parola scritta e torna a vivere e si fa parola incarnata, vibrante nell’aria. Viene regalata a un pubblico che non potrà mai stancarsi di ascoltare la perfezione della danza poetica composta dal Sommo poeta, Dante.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Corrado D’Elia guida il pubblico dalla Selva oscura giù, attraverso l’Inferno, e di nuovo fuori a Riveder le stelle. Chiede di ascoltare le parole della cantica infernale come se mai le avessimo sentite, per poterle riscoprire come il proprio viaggio quotidiano attraverso le fatiche della vita, come il viaggio di ogni uomo su questa terra. Il pubblico così lascia che una voce nata là, al buio, dietro il leggio, culli non solo le orecchie, ma anche gli animi.
La calda voce dell’attore si alterna a musiche gentili per porgere dolcemente le parole, a volte terribili, di Dante. Allora ecco la selva, ecco Caronte, Paolo e Francesca, Ulisse e il Conte Ugolino presentarsi a noi, personaggi nuovi e vivi. E poi tornammo a riveder le stelle.
Non recitare, dire
I versi non si recitano, si dicono- è Corrado D’Elia stesso a esordire così, introducendo il primo canto della Commedia. La direzione che l’attore intraprende è infatti chiara: cerca il ritmo del verso, la partitura insita nelle parole; scelta che regge e funziona, tolti forse i momenti di forte emozione dei personaggi che Dante incontra; momenti in cui il patos rischia di scavalcare la parola. La scelta musicale crea un’atmosfera carica di emotività, certo molto d’effetto, ma forse non del tutto necessaria per parole già così perfette nel loro semplice suono.