Lirica
DAS RHEINGOLD

Firenze, teatro Comunale, “Da…

Firenze, teatro Comunale, “Da…
Firenze, teatro Comunale, “Das Rheingold” di Richard Wagner LE GUERRE STELLARI DEI NIBELUNGHI ALLA CONQUISTA DELL'ORO DEL RENO Lo confesso, questo spettacolo mi ha stregato, mi ha ubriacato visivamente e concettualmente. E fatico a riordinare le immagini per raccontarle, a comporre le idee per descriverle. La Fura dels Baus è un gruppo di teatro d'avanguardia catalano, ormai famoso in tutto il mondo, un team di matti, visionari, provocatori che si sono segnalati per la genialità ed il talento tecnologico. Il loro approccio con il Ring wagneriano, coprodotto dal Maggio musicale fiorentino e dal Palau des Arts di Valencia, è di rispetto, ammirazione e provocazione, partendo dal senso letterale del libretto, utilizzando macchine su cui i cantanti letteralmente volano, sfrecciano, salgono e scendono nell'aria, ma soprattutto lavorando con una tecnologia video sofisticata e perfetta. Mitologia e tecnologia nella semplicità dell'impostazione. Carlus Padrissa non si pone il problema di attualizzare l'azione né tantomeno di storicizzarla: l'accento è sulla metafora e sulla visionarietà, privilegiando l'aspetto fiabesco e di gioco tecnologico che sfrutta le possibilità della fotografia, delle proiezioni digitali, dei rilievi satellitari, senza dimenticare le acrobazie e quei corpi appesi in mirabili figurazioni sceniche che sono nel linguaggio furero. E che qui porta a un finale indimenticabile e folgorante: chi non l'ha visto dovrà “mordersi i gomiti”.. Si comincia con le ondine che sguazzano nell'acqua in vasche cubiche di plexiglas sospese a mezz'aria su uno sfondo di acque gorgoglianti, queste ultime frutto di proiezioni tra le più stupefacenti mai viste. Silvia Vàzquez, Ann-Katrin Naidu, Hannah Esther Minutillo sembrano sirene a mollo, cantano, recitano e poi immergono la testa sott'acqua: glugluglu in immersione, fanno le bolle guardando il pubblico e poi riemergono per cantare, come se niente fosse. E le loro voci sono appropriate. Si continua con i giganti, giocattoli metallici così grandi che, anche pur al cospetto degli dèi, appaiono giganteschi, con movenze quasi di automi meccanici, quei robot che tanto sarebbero piaciuto al talentoso e precoce Karel Čapek . E gigantesche sono le loro voci: Matti Salminen (Fasolt) e Stephen Milling (Fafner) tuonano con forza e ricchezza di colori, autorevoli e cupi. Loge è il fuoco, nei colori e nelle luci, ma soprattutto in quel suo saettare tutto il tempo su una specie di monopattino,come una lingua di fuoco, mobilissima e vitale come la voce di John Daszak, morbida e pulita, seppure un poco debole all'inizio. Juha Uusitalo è un Wotan convincente e presente (anche se meno coinvolgente che in Valchiria, ma è diverso il ruolo nelle due opere), un Wotan che ha la serenità olimpica di un dio e, al tempo stesso, i dubbi e le paure di un uomo. Vicino a lui Fricka è bella e sicura di sé, vocalmente non convincente in toto ma fisicamente ammirabile; Freia, con un cappello a forma di siluro, tiene fede alla radice del nome ed appare libera ed intensa. Giovani e belli fisicamente Ilya Bannick (Donner armato di martello) e Germàn Villar (Froh), adeguati ai ruoli. Alberich è uno straordinario Franz-Josef Kapellmann, voce bella e ben usata, recitazione ardita e coinvolgente, spinta fino ad immergersi sott'acqua e ad essere sospeso con funi a mezz'aria mentre canta. Regge il confronto con lui il Mime di Ulrich Ress. Ruolo breve ma affrontato con grande voce quello di Erda: Catherine Wyn Rogers sorge da detriti di terra, come il suo nome ricorda, e alla terra rimanda con una voce corposa ed elastica. Una compagnia di canto senza picchi di eccellenza ma appropriata ed omogenea. La regia di Carlus Padrissa gioca con le immagini e con scene particolarmente spettacolari e significative, che richiamano la mitologia alla base della storia e dell'anima umana, che presenta i momenti essenziali, amore e dolore, dell'esperienza umana. Wagner sarebbe rimasto stupefatto. Il fiume scorre, inarrestabile e impetuoso. Un bimbo d'oro ride e si trasforma in un mostro terragno e ghignante. Alberich svuota le vaschette delle figlie del Reno e quell'acqua che fugge via lascia loro all'asciutto e negli spettatori un senso di aridità e di mancanza, di privazione, nella necessità, spasmodica e vitale, di cercare un motivo di sopravvivenza. Il regno dei Nibelunghi è una vera e terrorizzante fucina, una specie di Metropolis alla Fritz Lang, con corpi dorati (questi in stile 007 Goldfinger) che scorrono in catena di montaggio come quarti di bue appesi a ganci metallici, mentre dietro vibrano immagini di uova d'oro dipinte e poi distrutte (troppo bisognerebbe dire sulla simbologia dell'uovo, dall'estremo oriente all'occidente, uova dipinte e uova d'oro). La spazzatura cibernetica si ammucchia in ogni dove e travolge Nibelunghi e divinità. Le trasformazioni di Alberich, il verme di fuoco e il rospo meccanico che saltella con un clangclang metallico. Il tesoro, composto di creature umane rivestite d'oro che strisciano e formano un mucchio incandescente e scintillante, ma basta che cambia una luce e tutto appare sbiadito ed opaco. Erda sorge e sprofonda nella crosta terrestre, un grido della terra sfruttata e devastata da un'umanità incosciente e dominata solo dall'istinto al guadagno e alla sopraffazione. Ma l'acmè è alla fine: i grandi schermi video si aprono e rivelano, stagliati su fondo azzurro, corpi appesi a fili e raggrumati, gocce d'acqua sospese nell'aria, creature umane che all'improvviso seguono un disegno forse preordinato, come se rispondessero a un segnale del destino o dell'intelletto, distendono le membra, si cercano e si trovano, si uniscono, formano una rete umana, una piramide-ponte che unisce il cielo alla terra, una struttura verso cui si incamminano gli dèi (divinità fin troppo fragili ed umane) e che poi li avviluppa, una struttura che non si sa se li proteggerà e li imprigionerà (che troppo spesso la protezione è una prigione) mentre il Male è in agguato, come ricordano da fuori scena le voci delle Ondine, il Male che ha fatalmente intaccato la stirpe divina. Ma le note sono chiare e luminose come il mattino e, in quell'incedere solenne delle divinità, si compie il miracolo della Fura, un concretizzare perfetto dell'idealismo assoluto di questo finale: è nell'unione di corpi, anime, cuori e cervelli, è nella forza e nelle capacità dell'uomo che si unisce all'altro uomo la possibilità di ascendere al Walhalla e di creare non prigioni ma ponti, che portano lontano, che permettono di ascendere nell'Olimpo dei sentimenti e della cultura, del progresso. Zubin Metha dirige la ottima orchestra del Maggio con intensità ed estrema eleganza, senza titanismo né eroicità, sottolineando la drammaticità e gli aspetti più lirici, intimi e discreti della partitura, senza i toni roboanti a cui siamo abituati (se questo mi ha convinto compiutamente in Valchiria, mi ha lasciato qualche dubbio per l'Oro del Reno). Le sue attenzione e sensibilità estreme e la bravura dell'Orchestra portano alla produzione di suoni luminosi e cristallini. C'è anche da dire che, bene o male che sia, davanti a uno spettacolo così bello e ricco di spunti la componente musicale passa in secondo piano. A questo contribuiscono in modo essenziale le luci straordinarie di Peter van Praet, i costumi incredibili e fantasiosi di Chu Uroz, le scene visionarie di Roland Olbeter e, soprattutto, le immagini video di Franc Aleu: da domani tutti i video che vedremo in scena sembreranno amatoriali e datati, chi avrà più il coraggio di utilizzarli, dopo questa orgia visiva? Un'orgia visiva senza precedenti che lascia stupefatti, semplicemente stupefatti. Arduo tentarne una descrizione. Un allestimento che va oltre il cinema, oltre il teatro, oltre tutto. Tanto che durante le quasi tre ore in sala non vola una mosca, massima attenzione nel teatro tutto esaurito (lunga la coda in biglietteria in attesa di qualche defezione) e, alla fine, contrariamente al solito, nessuno se ne va, per applaudire a lungo questo evento memorabile e imperdibile. Come faremo a far passare i mesi in attesa di Siegfried e Götterdämmerung, i prossimi capitoli della saga? Visto a Firenze, teatro Comunale, il 27 giugno 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)