Il Ring wagneriano è una monumentale composizione operistica, oltre sedici ore di musica e un plot che intreccia leggende e miti della cultura germanica e nordica. Negli anni scorsi il Ring completo è andato in scena a Firenze nella produzione della Fura dels Baus diretta da Zubin Mehta e a Venezia nella produzione di Bob Carsen diretta da Jeffrey Tate (senza Rheingold), il cui “Crepuscolo” ha vinto l'ultimo premio Abbiati come miglior spettacolo dell'anno.
La Scala ne produce ora, insieme alla Staatsoper Unter den Linden di Berlino, una nuova edizione, affidando la regia a Guy Cassiers con Daniel Barenboim sul podio, un progetto pluriennale che avrà il completamento nella primavera 2013 in occasione del bicentenario, passando per la inaugurazione della prossima stagione lirica (appena presentata, news presente sul sito) con la “Valchiria”.
La regia di Guy Cassiers, direttore artistico della compagnia Toneelhuis di Anversa, va intesa non in senso tradizionale quanto come lavoro di coordinamento e fusione di recitazione, canto, musica, danza, mimo e video, ottenendo un risultato complesso che tuttavia si lascia ben seguire. L'Oro del Reno genera ricchezza ma anche bramosia e avidità di possedere, quindi conflitti minacciosi: nel programma di sala Cassiers spiega che vede “in questa storia di decadenza e caduta del potere una metafora della crisi politica del nostro tempo” (tanto che gli dei nel finale, anziché assurgere al Walhalla, scendono sottoterra).
Il palcoscenico vuoto ha sul fondo le superfici per le proiezione dei video, un muro quadrato di mattoni nella prima scena, una parete orizzontale nella seconda e nella quarta, ancora mattoni ma messi in listelli orizzontali da cui filtra il video di magma incandescente nella terza (scene di Enrico Bagnoli, come le luci perfette).
In questo spazio vuoto si muovono i cantanti e i ballerini della compagnia di balletto Eastman di Anversa, in mezzo a pozze d'acqua. I costumi dei protagonisti, creati da Tim Van Steenbergen, sono di impronta contemporanea con elementi che rimandano a una dimensione fuori dal quotidiano: doppio petto grigio per Wotan (con una pennellata sul viso), abito chiaro per Loge (con due codazze alla giacca), eleganza sobria per Fricka e più giovanile per Freia ma sullo stesso genere (abito lungo in stoffa stampata e con strass), nero totale per i gemelli Fasolt e Fafner, abiti leggeri e svolazzanti come nei quadri preraffaelliti per Woglinde, Wellgunde e Flosshilde.
Essenziali all'economia della messa in scena i video allusivi di Arjen Klerkx e Kurt D'Haeseleer, che mescolano immagini live dei cantanti riprese da telecamere sul palco (primo e terzo quadro) a immagini di canyon, terra, fuoco, aria, acqua e di grovigli di corpi come nei templi indiani. Particolari alcuni momenti, come le ombre dei giganti che svelano al loro interno corpi ammassati come gli ingranaggi di un orologio.
Molto presenti sulla scena i danzatori, che il coreografo Sidi Larbi Cherkaoui presenta come doppi dei cantanti oppure come strumenti per esplicare i sentimenti e quanto narrato dal plot. Nella prima scena i ballerini tendenzialmente raddoppiano i cantanti, nella terza personificano una lotta tra due opposte fazioni (costumi neri e nude look) e danno vita, combinandosi tra loro, a trono, sgabello, catene, animali (un poco come nel Flauto Magico di Parma). Ci sono anche rimandi alla statuaria classica nelle pose dei ballerini e delle ondine, che intrecciano le braccia canovianamente. L'oro del Reno è un fascio di luce e piastrelle quadrate giallo-luminose, l'anello del Nibelungo un guanto tempestato di diamanti.
Ottima la direzione di Daniel Barenboim, a cominciare dall'inizio di una lentezza ieratica, indimenticabile, da brivido. I tempi sono allargati per consentire al suono di dispiegarsi avvolgente e magnifico, sempre controllato, sontuoso e ricco nella timbrica. La lunga durata dell'atto unico, due ore e quaranta minuti, non ha mai cedimenti; il suono è perfettamente bilanciato tra le varie componenti della grande orchestra e i cantanti; la partitura è analizzata in ogni dettaglio e resa con grandissima forza emotiva; scolpita la parola, come nel teatro di prosa.
Ottimi i cantanti. Su tutti si sono distinti il Wotan tormentato di René Pape e il Loge nervoso e mobilissimo di Stephan Rügamer. Molto bravi, perfetti per i ruoli, Johannes Martin Kranzle (Alberich), Wolfgang Ablinger-Sperrhacke (Mime), Tigran Martirossian (Fasolt) e Timo Riihonen (Fafner). Bene anche sul versante femminile, a cominciare dalla Erda di Anna Larsson (statuaria, altissima come un obelisco che sorge dal basso), la Fricka signorile di Doris Soffel e la Freia giovanilistica di Anna Samuil, ma non sono da meno Aga Mikolaj (Woglinde), Maria Gortsevskaya (Wellgunde) e Marina Prudenskaya (Flosshilde). Adeguati anche il Donner capellone di Jan Buchwald e il Froh impeccabile di Marco Jentzsch.
Da segnalare una novità nel programma di sala, la traccia dei motivi conduttori.
Teatro gremito, moltissimi applausi. La rappresentazione è stata preceduta dalla lettura di una lettera dei dipendenti del teatro contro il decreto Bondi (una delegazione era presente anche all'esterno del teatro con striscione e distribuzione di volantini), per sensibilizzare il pubblico sugli effetti del provvedimento e sulla importanza della musica lirica e sinfonica. Spiace che le ragioni dei dipendenti della Scala siano state accolte con molti applausi ma purtroppo anche con fischi; persino qualcuno ha gridato dall'alto “Vergogna” ai lavoratori, ma la vergogna è per chi taglia fondi alla cultura.