Personaggio difficile da restituire sulla scena per come l'immaginario collettivo lo ha sempre descritto (artista, dandy, stravagante, omosessuale), Oscar Wilde ha assunto la statura del martire, dovuta ai due anni di lavori forzati per avere amato il giovane Lord Gordon Douglas, al quale Oscar dedica il De profundis, scritto mentre è in carcere.
Da quella dolorosa lettera d'amore Nobili trae con una ispirazione viva e felicissima una drammaturgia composita e mai banale.
Prima il processo, sommario e prevedibile negli esiti, dove la legge viene applicata con massima severità, durante il quale emerge chiara la dicotomia tra l'alta borghesia dell'epoca, rappresentata dal padre di Bosie (un Marco Fioravanti credibilissimo tutti immerso nella acrimonia borghese), che tiene il figlio sotto un giogo paternalistico, e l'emancipazione anticonformista di Wilde che ama circondarsi di giovani ragazzi, non per lascivia, ma per affinità elettiva.
Poi il carcere dove l' umiliazione più grande è quella di non avere l'inchiostro per poter scrivere (in scena per scrivere Wilde usa il sangue che esce dalle ferite inflittegli da uno dei secondini, un Andrea Guerini credibilmente perfido).
Quando uno dei secondini è incuriosito dai versi che l'uomo ha scritto sul pavimento della cella, Wilde accortosi della sua curiosità, gli chiede, speranzoso, ti piace? La curiosità del secondino per i versi del poeta ribadisce la convinzione di Wilde che ogni giovane possa e debba coltivare le lettere e la curiosità intellettuale. Quella stessa curiosità è anche un tributo che il secondino, giovane e bello (incarnato da Alessio Chiodini bravo, ed anche bello) fa all'opera intellettuale di Wilde (per cui quel ti piace scaturisce da un duplice compiacimento perché il giovane si diletta di letteratura e perché si diletta di versi scritti da lui).
Poeta e secondino sono così legati anche da una diversità (sentimental-sessuale nel primo, intellettuale nel secondo) che li discrimina giocoforza condannandoli al ludibrio.
Il testo di Nobili diventa allora una viva metafora della nostra contemporaneità, italiana e non solo, nella quale l'omosessualità è ancora profondamente odiata, dalla legge che ne ignora i diritti mancati alle aggressioni della gente comune che sono odiate in maniera feroce ora come allora (appena Wilde esce di galera il secondino picchiatore pulisce la sua cella cancellandone i versi, perché sono stati scritti con il sangue di un frocio).
Questo rimando del vissuto di Wilde a quello qui e ora di noi uomini e donne diversamente declinati nella nostra personalità anche nell'orientamento sessuale è solo uno degli elementi apprezzabili di uno spettacolo ricchissimo di spunti, suggestioni, di momenti di alto teatro dalla recitazione (Nobili, naturalmente, ma anche Chiodini e Matteo Maria Dragoni che ci regala un Bosie indimenticabile e perfetto) alla regia (le percosse date a Wilde che si scrivono violentemente nella carne vera di Nobili senza lesinare sull'intensità) ai personaggi.
Oltre a quelli detti ci sono un giovane col quale Wilde si accompagna (e che viene a prenderlo quando esce dal carcere) autodeterminato e non sottoposto alla morale borghese (interpretato da un intenso Enrico Maria Carraro), e il personaggio extradiegetico della coscienza con la quale Wilde (s)ragiona (non solo delirio del Wilde incarcerato ma anche cantuccio lirico di Nobili) forse leggermente eccessivo (troppo presente) interpretato dalla brava Martina Mastroianni con risultati alterni (all'inizio impostata poi via via sempre più credibile) la quale interpreta anche una giudice di ghiaccio, moderna e contemporanea, e proprio per questo ancora più inesorabile nella determinazione con la quale condanna Wilde al massimo della pena.
Nel De Profundis Nobili compone un inno di liberazione di tutti gli uomini e di tutte le donne, di oggi come di allora, ricordando - proprio come faceva Wilde partendo dal suo specifico omosessuale - come si possa e si debba crescere e maturare insieme, persone diverse eppure uguali, ognuno e ognuna seguendo l'afflato del proprio spirito anche quando l'amore non osa dire il suo nome.
Si lascia la sala commossi, più vivi, felici di avere visto uno spettacolo vero, onesto, grande.