DELITTO/CASTIGO - La Recensione. Sergio Rubini mette in scena il testo di Dostoevskij con un taglio di azione e suspence, quasi kafkatiano. Reading e recitato s’intrecciano senza sovrapporsi, come un dialogo fluido senza pause.
Il giovane studente Raskol’nikov (Luigi Lo Cascio) è chino sul pavimento mentre scrive, il rumore della penna che scivola sul foglio, scricchiola sul legno. La luce è soffusa, un letto a destra e sul fondo della parete un’icona russa, mentre dal soffitto cadono corde con un tavolo e cappotti in sospensione.
Sin dalle prime battutte emerge il tormento di Rodia, la sua instabilità psicologica grazie a un’interpretazione di Lo Cascio, sensibile all’inquietudine del protagonista di Delitto e Castigo. Sergio Rubini mette in scena il testo di Dostoevskij con un taglio di azione e suspence, quasi kafkatiano. Reading e recitato s’intrecciano senza sovrapporsi, come un dialogo fluido senza pause, un duetto tra Rubini e Lo Cascio interrotto dai sussulti febbricitanti di un tormento psicologico dilaniante.
La rilettura dinamica di Rubini
Raskol’nikov l’assassino, Raskol’nikov il sognatore, Raskol’nikov l’altruista, cambi repentini di peronalità supportati dai movimenti scenici delle luci e della scenografia (Gregorio Botta) mentre il narratore Sergio Rubini recita ruoli differenti (la madre, la sorella, il consigliere) con naturalezza e senza eccessive alterazioni vocaliche.
A differenza del picaresco e irriverente Delitto e Castigodel registra russo Konstatin Bogomolov – prodotto da ERT nel 2017 per i suoi quarantanni – la trasposizione teatrale di Rubini e Carla Cavaluzzi è fedele al testo. I tagli e le accelerazioni hanno reso lo spettacolo dinamico, grazie a una scansione temporale in linea con i tempi di attenzione del pubblico. Tale adattamento, però, mette in secondo piano una figura centrale del romanzo, Sonja (Francesca Pasquini) che ricorda una dattilografa degli anni Cinquanta come Carla di Pagliarani, dall’aria vinta e sottomessa.
L’anima tormentata di Raskol’nikov
Dietro alla sua consolle il rumorista G.U.P. Alcaro, come un dj, anima l’atmosfera cupa e angosciosa, dettata dalla sofferenza del protagonista. I suoi terremoti emotivi sono accompagnati dalle oscillazioni delle corde, che a volte precipitano al suolo per l’alta tensione con un tonfo sordo e profondo, mentre il tavolo si abbassa e si adagia sul pavimento per accogliere l’interrogatorio di Raskol’nikov.
Esattamente a metà dello spettacolo, il delitto si compie. Nulla accade in scena, le parole e i suoni ricreano visioni suggestive ma la rappresentazione è privata, lo spettatore immagina ciò che il racconto descrive.
Delitto/Castigo – privato della e di congiuzione – ricostruisce la scissione dell’anima (Raskol in russo è “scisma”), scivola nel fango dei tormenti, delle allucinazioni e sogni inquieti finché il silenzio finale cade sulla confessione liberatoria dell’assassino: “Sono stato io”.