Lirica
DEMOFOONTE

Ravenna, teatro Alighieri, ”D…

Ravenna, teatro Alighieri, ”D…
Ravenna, teatro Alighieri, ”Demofoonte” di Niccolò Jommelli JOMMELLI SEGRETO, RISCOPERTO DA MUTI Riccardo Muti prosegue il progetto quinquennale con il Festival di Pentecoste di Salisburgo alla riscoperta del Settecento napoletano; dopo Cimarosa (Il ritorno di don Calandrino) e Paisiello (Il matrimonio inaspettato) quest'anno la sua ricerca si è appuntata su Niccolò Jommelli e il suo Demofoonte (coprodotto anche con l'Opéra national de Paris), la quarta versione del dramma, andata in scena la prima volta al San Carlo il 4 novembre 1770. Demofoonte, tratta da un libretto di Pietro Metastasio ispirato a fatti dell'epoca classica, narra dell’amore contrastato fra la plebea Dircea e Timante, primogenito del re Demofoonte, che vorrebbe, per ragioni di Stato, fare sposare al figlio la principessa frigia Creusa, di cui invece è innamorato il figlio cadetto Cherinto. Dopo condanne a morte, tentativi di fuga e agnizioni (Dircea è figlia di Demofoonte e sorella di Cherinto, invece Timante è di origine plebea ed è stato scambiato da bambino con Dircea per assicurare una discendenza al sovrano – prima della nascita di Cherinto), il lieto fine sancisce la duplice unione di Timante con Dircea e di Creusa con Cherinto secondo le ragioni del cuore, esaltando la magnanimità di Demofoonte. Il libretto, per il suo valore edificante, conobbe grande popolarità e fu messo in musica una settantina di volte da vari compositori (Vivaldi, Gluck, Paisiello, Galuppi, Piccinni, Cimarosa ed altri) e quattro dallo stesso Jommelli; Mozart ne musicò alcune arie da concerto. Jommelli, particolarmente celebre all’epoca, è interessante per alcune novità stilistiche e per la maggiore attenzione alla psicologia dei personaggi, fra il barocco e lo stile classico di Haydn e Mozart. I recitativi accompagnati hanno lunghe pennellate di suoni densi e vari; gli infiniti da capo delle arie presentano sempre una qualche variante, rivelandosi non ripetizioni meccaniche o esibizionismo di virtuosismi ma evoluzioni del carattere dei personaggi. La messinscena di Cesare Lievi è sobria ed essenziale e sembra concepita per mettere in rilievo l’esecuzione musicale, di cui è una trasposizione estetica fedele, sottolineandone la struttura con un movimento scenico plastico e misurato. La scena di Margherita Palli è una prospettiva che rovescia e moltiplica i piani, creando una scatola le cui pareti, soffitto e pavimento sono costituite da serliane, colonne bianche ed archi a tutto sesto. Le armoniose quinte neoclassiche lasciano aperture da cui spuntano ciuffi di alberi, sprazzi di cielo, vedute marine con vulcano, notturni stellati. Le splendide luci di Gigi Saccomandi illuminano di delicate tonalità azzurrine e violacee le pareti, rendendo la scena fissa particolarmente raffinata. Infatti la “scatola” non cambia ma alcuni dettagli consentono di ricostruire i vari ambienti, come la nave che porta Creusa, il tempio, gli interni, gli esterni. I costumi di Marina Luxardo sono senza tempo ma di impronta classica, per alcuni (Demofoonte, Matusio) improntati su grandi cappottoni che rendono un po' goffi i movimenti. Nella scena quasi vuota i solisti sono in genere statici per dare pieno risalto alla bellezza del canto e della musica. Ma la noia è in agguato. La regia, che rivela forte comunione d’intenti con il direttore, accentua tutta la classicità, ma la mancanza di autentica teatralità (limite già evidente nel libretto nonostante la complessità della trama), seppur assolutamente coerente con lo stile (immobile) dell’opera, appare un'occasione mancata. I giovani cantanti si confrontano con una scrittura impegnativa che richiede grande precisione, agilità e innegabili doti di dizione per scolpire i versi di Metastasio. Dimitry Korchak ha dizione ottima e restituisce giusta autorevolezza a Demofoonte per la notevole estensione e gli acuti sicuri, a cominciare dall'aria “Per lei fra l'armi dorme il guerriero”; Demofoonte rivela decisionismo scevro da incertezze (“Se tronca un ramo, un fiore”) e implacabilità (“Perfidi, già che in vita”), salvo rivelarsi magnanimo nel finale. Nel ruolo en travesti di Timante José Maria Lo Monaco trova un canto preciso e appassionato e mette in giusto rilievo la delicatezza delle sue arie; il suo personaggio, vero protagonista dell'opera, mostra una gamma di sentimenti notevole, ad esempio nell'aria “Sperai vicino il lido”. Maria Grazia Schiavo è una Dircea intensa e dalla tecnica impeccabile, a tratti un po' affaticata; nella prima aria “In te spero, o sposo amato” scolpisce il verso, cesellandolo per rendere tutto il senso dell'angosciosa preoccupazione; il suo duetto con la rivale Creusa nel second'atto ha accenti malinconici e nobili ed è uno dei momenti più toccanti dell’opera. Eleonora Buratto è una Creusa molto elegante nell'abbigliamento e nel contegno, quasi diva del cinema muto, ed arriva preceduta da un corteo di valigie e bauli (uno con la scritta Festspiele Haus Salzburg); al suo “Non curo l'affetto” risponde l'apprezzabile Corinto di Valentina Coladonato con “Il suo leggiadro viso” mentre rimira il vestito da sposta in tulle bianco dell'amata Creusa che spunta da un baule. Non convince il Matusio del controtenore Antonio Giovannini, anche perchè non ha l'autorevolezza per un ruolo paterno. Non credibile l’Adrasto di Valer Barna –Sabadus. Riccardo Muti dirige con estrema precisione e calma serafica, proponendo una lettura rigorosa ed equilibrata, di grande respiro, ideale per mettere in luce la bellezza plastica e pre-classica dell’opera di Jommelli. L’orchestra giovanile Cherubini conferma entusiasmo e grande maturità tecnica e artistica, rispondendo in modo esemplare al rigoroso Maestro con un virtuosismo orchestrale sempre teso e calibrato, dai suoni precisi e luminosi, adatti per fare rivivere i fasti della scuola napoletana. Bene al clavicembalo Speranza Scappucci. Teatro gremito, qualche defezione dopo ogni intervallo, alla fine applausi convinti per tutti e una piacevolissima atmosfera festivaliera in città. Visto a Ravenna, teatro Alighieri, il 03 luglio 2009 Francesco Rapaccioni (con la collaborazione di Ilaria Bellini)
Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)