Lirica
DER FLIEGENDE HOLLAENDER

SOLITUDINI ALLO SPECCHIO

SOLITUDINI ALLO SPECCHIO

Nell'anno del bicentenario Verdi-Wagner il Comunale di Bologna ha iniziato la stagione con due opere giovanili dei due compositori e, dopo il nuovo Macbeth di Robert Wilson, riprende l'allestimento di proprietà dell'Olandese volante di Yannis Kokkos, il quale ha mantenuto intatte la bellezza esteriore e la forza comunicativa.

L'arioso, originale spazio scenico è un tavolato bianco doppiato da uno specchio inclinato, a sinistra un'apertura quadrata incorniciata da un dipinto naturalista nei toni virati al seppia con un veliero in balìa del mare in burrasca. I costumi rigorosi e scuri rimandano a un nordico tardo Ottocento. E lo specchio aumenta il senso di isolamento, di separazione.
Il tema dominante è quello della solitudine e soli sono tutti i protagonisti: l'Olandese, condannato a un eterno pellegrinaggio per mare; Daland, che va per mare ma ha una casa eppure non una compagna; Erik, che una fidanzata ce l'ha eppure è solo; Senta che avverte il richiamo di quella figura irresistibile (e predestinata) che la condanna alla solitudine. Una solitudine che avvolge tutto e tutti e, seppure declinata in modo differente, si estende anche all'equipaggio del vascello: fantasmi, scheletri, figure sbiadite ectoplasmatiche.

Durante l'ouverture il sipario è abbassato, pennellate lunghe e fibrose del colore dell'acqua marina in tempesta lo percorrono come un dettaglio di un quadro di Munch esaminato con la lente di ingrandimento. Una grata in controluce crea l'effetto di una finestra col senso dell'impossibilità di uscire, di una reclusione che è condizione quotidiana o destino morale.
L'incipit è sulla tolda della nave di Daland: un timone, funi e cerate. Le luci creano sul tavolato l'effetto riflesso del mare e la platea lo vede replicato nello specchio (luci Guido Levi, video Eric Durarteau).
Il vascello fantasma spunta dall'apertura a sinistra e si insinua con forza e ampiamente nello spazio scenico: l'immagine proiettata sul tavolato è quella della tolda deserta del vascello, il palco si apre a svelare il ventre oscuro e disabitato del vascello e l'Olandese che si materializza col suo carico di cupa, disperata, inesausta solitudine.

Dopo l'intervallo, lo spazio è lo stesso ma il senso diverso: a posto del timone un arcolaio, a posto dei marinai le filatrici, a posto delle funi gomitoli di lana rosso carminio. Sul pavimento un dipinto di veliero nel mare in burrasca; per contenere l'attrazione di Senta, Mary lo copre con un lenzuolo bianco che le ragazze ricamano con gesti quotidiani e sapienti. Ma il richiamo di Senta è irresistibile: toglie via il lenzuolo scoprendo il dipinto e provocando la reazione di Erik che lo stacca dal pavimento con rabbia.
Per entrare l'Olandese usa una porta che gli altri neppure vedono, mimetizzata nella parete laterale con la marina in tempesta, come se venisse da quel mare privo di requie. Il duetto tra Senta e l'Olandese dimostra un sentimento fortissimo e irrazionale eppure casto, difficile da esprimere, quasi impossibile: si guardano da lontano, dagli opposti angoli del palco, lo specchio li rimanda rovesciati, immobili (rectius bloccati). L'uno fisso negli occhi dell'altra. Si sfiorano le mani e solo nel finale arriveranno a un timido abbraccio impacciato. Di baci neanche a pensare: questo è un sentimento che supera la materialità. E la vita.

Il finale è struggente. L'Olandese scende nel ventre del vascello, Senta si toglie il borghese vestito nero e prova a seguirlo in sottoveste bianca, ma il tavolato si chiude e lei si guarda intorno, smarrita, incredula. Sola. Cade a terra, travolta e assorbita dal riflesso del mare. Per sovrapposizione di immagini, lo specchio restituisce il suo corpo disteso e immobile come se fosse sulla tolda del vascello fantasma. Ma è un'illusione. Il corpo di Senta è a terra, Mary si avvicina al vestito, guscio senza vita. Il veliero sbiadisce e scompare, Senta è sola e abbandonata. Era tutto un sogno? E' stato tutto un sogno?

Stefan Anton Reck non approfondisce in modo personale la partitura ma si è apprezzato per la mano sicura che privilegia le morbidezze e quegli elementi che consentono di evocare  un'atmosfera nordica e leggendaria, in perfetta adesione con le intenzioni registiche, qui ottimamente riprese da Stephan Grögler.

Thomas Hall è un Olandese dalla voce scura che resta opaca e brumosa, una figura volutamente in disparte che cerca disperatamente di uscire dalla vita: in questo contesto l'amore per Senta acquista un nuovo scopo, guadagnare il mare per altri sette anni con la sola speranza di rivederla almeno una volta. Elena Popovskaya presta potenza vocale e adesione scenica a Senta, convincendo per un registro centrale pieno, nonostante qualche asprezza in acuto. Charles Workman è un Erik lamentoso, emblema di uomo impotente e rinunciatario, vocalmente affaticato in alto. Con loro, poco in evidenza, il Daland di Duccio Dal Monte e la Mary di Monica Minarelli; meno a fuoco il Timoniere di Gabriele Mangione. Il coro, preparato da Andrea Faidutti, ha convinto pienamente.

L'opera ha avuto proprio al Comunale di Bologna la sua prima italiana mercoledì 14 novembre 1877 alle ore 8 pomeridiane, come ricorda la riproduzione anastatica del manifesto che apre il programma di sala (sommerso dai fischi, a leggere una recensione d'epoca riportata nello stesso) che ha in copertina la “Canoa che avanza”, installazione di Gilberto Zorio dal Centro Galego de Arte Contemporanea di Santiago de Compostela.
Pubblico numeroso e attento e nel finale un vero trionfo per un allestimento imperdibile che parla di luce senza tralasciare l'oscurità e che sarà al teatro di San Carlo a Napoli dal 19 al 28 aprile.

Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)