Il 75° Maggio Musicale Fiorentino è dedicato al viaggio, dalla Mitteleuropa al Sudamerica: e nessuna opera esprime meglio il senso e il sentimento mitteleuropeo del Cavaliere della Rosa.
“Ma non si accorge se una storia è conclusa?”, rimprovera la Marescialla al Barone: in un solo verso, sul finale dell'opera, il Rosenkavalier condensa la sua eleganza crepuscolare. Sul libretto di Hugo von Hofmannsthal, Richard Strauss evoca lo spirito del Settecento per celebrarlo, sì, ma nella consapevolezza che il tempo dell'amore ha le sue stagioni, e anche il tramonto merita un sorriso. Un tempo e un sentimento guardati mediante uno specchio che diventa elemento caratterizzante la scenografia e l'idea registica, il senso del riflesso e del rimando, da un'epoca all'altra, da una vita all'altra, che è l'essenza di questo Rosenkavalier.
La scenografia di Hans Schavenroch presenta un enorme specchio che rimanda un interno sontuoso, una galleria nei toni pastello di un Settecento opulento e raffinato. Uno specchio che sul finale del primo atto chiude il boccascena, rinviando i riverberi della platea come attraverso il tempo. Uno specchio che per due volte (all'inizio del secondo atto e nel finale del terzo) si apre a uno squarcio di cielo: prima nuvole viste dall'alto contro l'azzurro nel momento dell'ingresso del Rosenkavalier e della folgorazione d'amore, poi una città attraversata da un fiume e dominata da un cielo plumbeo ma non cupo nel momento della presenza della Marescialla, un cielo che poi si colora del tramonto, illuminandosi, riflettendosi nel pavimento a specchio: quello che sembra cielo diventa acqua e quello che sembra acqua riflette il cielo, tutto si confonde.
I costumi di Catherine Voeffray percorrono l'arco della storia dall'epoca mozartiana a quella straussiana senza dare l'idea di accozzaglia, anzi permeando in modo naturale il lungo crepuscolo dell'impero austroungarico, che diviene il tempo paradigmatico della vicenda. Essenziali alla riuscita della messa in scena le luci di Manfred Voss, un mago nel giocare con il grande specchio e le sue infinite suggestioni.
La regia di Eike Gramss è rispettosa del contenuto del verboso libretto e della storia, muove sapientemente i protagonisti facendo in modo tale da rendere con immediatezza i sentimenti e le intenzioni, senza mai scadere nel banale. I caratteri, così ben analizzati dalla musica e dalle parole, sono sottolineati nel loro percorso interiore con gesti appropriati e movenze esatte. Nulla di nuovo, eppure tutto piacevole da seguire.
Angela Denoke è una Marescialla dal fisico androgino, sottolineato dalla sottile camicia da notte, che riesce a rendere molto bene la consapevolezza dello scorrere del tempo e il conseguente mutare dei sentimenti; una donna che non si lascia travolgere dalla malinconia ma decide, consapevolmente, di affrontare la piena maturità con razionalità, senza tuttavia dimenticare le ragioni del cuore, che restano a una distanza accettabile, sullo sfondo (rimandate sempre dallo specchio dei ricordi); vocalmente il soprano non è mai in difficoltà, i registri sono pieni e luminosi e la resa della frase musicale ha rara intensità nel rendere l'intimità dei sentimenti della donna piuttosto che il suo ruolo sociale.
Bravi, ma un gradino sotto, i coprotagonisti. Kristinn Sigmundsson è un imponente Barone Ochs che non scivola nel grottesco né nel caricaturale. Caitlin Hulcup è un Octavian misurato e sfuggente. Sylvia Schwartz una Sophie carina e fresca. Ingrid Kaiserfeld è una Marianne di esperienza vicino a Eike Wilm Schulte, divertente Faninal. Celso Albelo dona voce agile al Cantante italiano. Anna Maria Chiuri e Niklas Rygert sono appropriati come Annina e Valzacchi. A conferma che anche i ruoli di contorno sono decisivi, Giovanni Mazzei è un piratesco Leupold, bravissimo sul piano attoriale e fondamentale per rendere appieno la presenza del Barone. Bene anche tutti gli altri cantanti, come anche il coro e il coro di voci bianche.
Zubin Mehta dirige per la prima volta una partitura fondamentale, caso strano considerata la sua formazione, scelta evidentemente ponderata: il suo Rosenkavalier è affrontato in modo maturo, ha leggerezze liberty alternate a malinconie autunnali. Se qualche cupezza o ispessimento vela quei valzer struggenti, ciò è dovuto a una condivisibile visione della partitura straussiana e dunque, a nostro parere, ne costituisce un valore aggiunto. Da sottolineare che i tempi sono perfetti e il raccordo tra la grande orchestra e i numerosi cantanti è ottimale.
Qualche posto vuoto a teatro, pubblico attento e partecipe, moltissimi applausi durante la recita fino al trionfo finale, particolarmente per Zubin Mehta.