Lirica
DER ROSENKAVALIER

Roma, teatro Costanzi, “Der R…

Roma, teatro Costanzi, “Der R…
Roma, teatro Costanzi, “Der Rosenkavalier” di Richard Strauss LA DIFFICOLTA' DI VIVERE NEL MONDO Il Rosenkavalier che debutta a Dresda nel 1911 è una delle opere più belle mai scritte per il teatro musicale. Dopo la prima di Elektra (1909) Richard Strauss dichiara la sua intenzione di comporre un'opera “mozartiana”, lontana dalla epicità e dalla tragica, morbosa e fastosa sensualità di Salome e di Elektra, un'opera che attinga alle fonti di un mitico Settecento viennese, aggraziato e amoroso, sospeso tra gaiezza e malinconia. Hofmannsthal gli prepara un libretto sul modello ideale delle Nozze di Figaro e in puro dialetto viennese (ad esempio la Marescialla dice “nix” anziché “nicht”, la pronuncia di alcune parole e l'uso di certi termini è caratteristico dell'austriaco). Così Strauss: “Il libretto è circondato da una graziosa atmosfera rococò che mi sono sforzato di tradurre in musica. Lo spirito di Mozart mi era presente, ma io sono rimasto fedele a me stesso. L'orchestrazione non è così greve come il Salome ed Elektra ma non ho seguito in nessun modo la tendenza moderna a usare una piccola orchestra”. Infatti né Strauss né Hofmannsthal possono limitarsi a un ritorno puro e semplice a una forma operistica di taglio settecentesco: la loro visione lascia trapelare l'interpretazione da parte di una cultura diversa, qual era quella del primo Novecento, con inattese complessità non certo mozartiane. Le teorie di Henri Bergson sul tempo come durata sono sedimentate nella società e i primi studi di Freud hanno già popolarità ed interesse, senza tralasciare che è evidentemente percepibile la catastrofe verso cui si sta avviando l'Europa, il che rende ancor più struggente il ricordo dell'Austria felix, dipinta come un mondo nostalgicamente irrecuperabile, con una sensibilità già pienamente novecentesca e una consapevolezza moderna. Rosenkavalier torna a Roma dopo 35 anni e giustamente il teatro dell'Opera presenta un allestimento tradizionale. Le scene di Ezio Frigerio ricreano ambienti vasti, di una opulenza misurata, giocati sul bianco e oro di colonne scanalate corinzie poggiate su un alto stilobate. Nel primo atto due esedre semicircolari accolgono il letto a baldacchino della Marescialla ed un piano rialzato contornato da balaustra a cui si accede da un'ampia scalea; nel secondo atto una parete di grandi porte vetrate chiude il palcoscenico sul fondo, con aperture dalle caratteristiche forme stondate dell'area viennese-bavarese; nel terzo atto l'impianto è lo stesso del secondo ma l'ambiente è chiaramente modesto, coi mattoni a vista e le travi del soffitto, sempre tutto bianco. Franca Squarciapino ricrea nei costumi impeccabili e curatissimi nei dettagli un Settecento elegante, dalla raffinatezza dei colori tenui per la Marescialla ai contrasti più vistosi per il Barone e Faninal. Le luci azzeccate di Vinicio Cheli sottolineano gli ambienti con morbidezza ed efficacia ai fini del plot: nel primo incontro tra Sophie e Octavian, quando i loro sguardi si incrociano, le luci istantaneamente cambiano, si fanno algide e frontali, fermano il tempo ed eternano il momento dell'innamoramento. La regia di Nicolas Joel, ripresa da Stephane Roche, segue fedelmente le indicazioni del libretto, consentendo al pubblico di seguire con chiarezza la vicenda; indugia maggiormente sui temi grotteschi, invece che su quelli sentimentali ed erotici, arrivando alla caricatura per Ochs e il suo seguito. Non rende appieno la soffusa malinconia interiore per il tramonto di un'epoca che è elemento fondante dell'opera, quella difficoltà a vivere nel mondo e nel presente che rendono Rosenkavalier vibrante per ogni animo. Adeguato il cast. Christiane Iven è una Marescialla dalla voce corretta e bella, piena di dignitosa malinconia e di nobile controllo, però freddina e distante, poco comunicativa e priva di quello charme che la rendono padrona della scena oltre la tecnica. Il personaggio è centrale: le sue note rendono la fragilità di ogni cosa terrena, il presagio del tempo implacabile che passa, lo sfiorire della bellezza giovanile, il senso transeunte della vita, il rassegnato filosofeggiare su ciò che sarà il domani, sebbene con velata ironia e sorridente distacco. Con l'aggiunta di una consapevole sensualità: così si spiega, sul finire del primo atto, l'invito a Octavian, se egli ne avrà piacere, a cavalcare accanto alla sua vettura al Prater utilizzando, mentre l'orchestra sussurra il tema dell'amore, la parola “lust” (intraducibile in italiano, come nella “lustige Witwe” di Lehàr, la vedova allegra: lust non è allegria in senso stretto né piacere, ma una connotazione di allegria con venature di morbosità). Di gran lusso il barone Ochs del tonante Kurt Rydl, veterano in formissima capace di raffinatezze vocali: la sua figura solenne lo rende un po' Don Giovanni di campagna un po' sporcaccione, che cerca di impalmare la giovane e ricca Sophie ma al tempo stesso è intrigato dalla cameriera della cugina, alla quale riserva vistosi i pizzicotti sul sedere. Irini Karajanni è un Octavian spiritoso e dalla vocalità scura, impulsivo e vibrante di ardore giovanile. Gemma Bertagnolli una giovane ed acerba Sophie con qualche difficoltà nel registro acuto, accanto al severo e debole Faninal di Peter Weber. Adeguati i numerosi comprimari. Il coro è preparato da Andrea Giorgi. La direzione di Gianluigi Gelmetti non rende appieno la bellezza della partitura. Il suono è pesante, a cominciare dall'ouverture coi due temi principali dell'opera, quello di Octavian nei corni e quello della Marescialla negli archi. L'orchestra non esprime la trasparenza, la fragilità e le ricchezze della partitura, che deve essere come quella rosa in filigrana d'argento al centro della vicenda. I valzer sono la struttura portante, così struggenti nell'essere anacronistici, ma ripensati con sensibilità novecentesca. In alcuni momenti, soprattutto nel primo atto, il suono dalla buca ha sovrastato le voci in palcoscenico. Poco pubblico, purtroppo: un'occasione mancata per i cittadini della capitale, con defezioni intervallo dopo intervallo, ma chi ha resistito alla fine ha applaudito con convinzione. Invece tutte esaurite le recite dell'Otello coprodotto con il Festival di Salisburgo e diretto da Riccardo Muti: il 4 dicembre prova generale aperta al pubblico dedicata alla raccolta di fondi a favore dell'Anlaids-Lazio in occasione dei vent'anni dell'associazione. Visto a Roma, teatro Costanzi, il 14 novembre 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
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