Spettacolo di gusto e di grande equilibrio quello pensato da Harry Kupfer per il suo Rosenkavalier, la cui vera protagonista risulta essere la città di Vienna con le sue vedute di interni ed esterni in bianco e nero proiettate sul fondo, quasi a rendere quell'idea di malinconia opulenta che permeava l'Austria di fine impero, epoca appunto in cui fu composta l'opera. Per il resto l'allestimento è semplice e pulito: nei primi due atti pochi arredi di grande eleganza si muovono lateralmente grazie allo scorrere dell'assito del palcoscenico e creano i vari ambienti di interni richiesti dal libretto; una casa sormontata da una balena metallica immersa nel bosco del Prater, dotata di un tavolo riservato nel giardino sul retro, rappresenta, invece, la locanda del terzo atto. Su tutto domina la bicromia che gioca non solo sul bianco e sul nero ma anche su tutte le loro gradazioni, insistendo così su quel senso di malinconia che deriva dall'ineluttabilità del tempo che scorre. Il culmine lo si raggiungerà alla fine del primo atto quando la Marescialla si incammina verso una sorta di viale del tramonto avvolto dalla foschia e costeggiato da alberi stecchiti, affrontando così una nuova stagione della vita, costretta all'età che avanza. Molto belli, di foggia inizio Novecento, i costumi di Yan Tax; unico cenno all'originaria ambientazione settecentesca l'abito del tenore che canta la sua aria durare il lever della Marescialla.
Zubin Mehta dirige l'Orchestra del Teatro alla Scala abbandonandosi, senza zuccherosità alcuna, alla dolcezza dei famosi valzer che punteggiano la partitura, non trascurando però quell'energia maggiormente avanguardistica, derivata dagli esperimenti precedenti del compositore, che emerge qua e là un po' ovunque nell'opera. Il tocco è fresco e adamantino, il senso di caducità sempre presente ma mai caricato, il ritmo incalzante e pregno di vivacità per una esecuzione che risulta davvero magistrale.
Krassimira Stoyanova è una raffinatissima Marescialla di grande impatto scenico ed eleganza: l'emissione è morbida, tutti i registri risultano perfettamente equilibrati, l'acuto squilla con vigore ma presenta anche venature di dolcezza che non guastano all'interno di di una interpretazione di grande livello. Voce di non grande potenza per l'Octavian di Elisabeth Jannson che delinea un Quinquin corretto, ma non particolarmente caratterizzato. Günther Groissböck tratteggia un Barone Ochs di grande spessore, dotato di una voce ricca di armonici e di una emissione perfettamente calibrata: ne emerge la figura di un seduttore che alterna momenti di sicumera e supponenza sopra le righe a tratti che ispirano, invece, quasi simpatia. Christiane Karg è una Sophie dolce ma determinatissima a non convolare alle preventivate nozze col Barone: la voce ha un timbro fresco e un'ottima proiezione, l'acuto svetta cristallino, il suono è sempre di grande limpidezza. Adrian Eröd è un nervoso Farinal che vede franare sotto i propri occhi la propria scalata sociale: la voce non è enorme, ma l'intonazione ineccepibile, unita a una certa innegabile capacità interpretativa, gli consente di delineare un personaggio a tutto tondo. Voce un poco acidula per la Marianne di Silvana Dussmann. Buona la prova di tutti i comprimari: l'Annina di Janina Baechle, il commissario di polizia di Thomas Bauer, i maggiordomi di Franz Supper e Michele Mauro, il notaio di Dennis Wilgenhof, l'oste di Roman Sadnik, il cantante di Benjamin Bernheim, le tre orfane di Theresa Zisser, Kristin Sveinsdottir e Mareike Jankowski, la modista di Cecilia Lee, il venditore di animali di Sascha Emanuel Kramer.