Prosa
DI NOTTE CHE NON C'è NESSUNO

Una commedia dolorosa e vera

Una commedia dolorosa e vera

Lui, disoccupato, fa marchette, con un tariffario ben preciso nel quale è disposto a tutte le pratiche sessuali tranne la fellatio, io non succhio, dice. Lei, la sua ragazza, non vuole lui si faccia scopare dai clienti e lavora come commessa in un supermercato. Insieme sognano il successo (intraprendere la carriera come top model) che li trascini via da un presente che vivono senza alcuna convinzione. Quando lui si intrattiene col cliente di turno, lei ne taccheggia l'automobile (quando lui abbassa i pantaloni del cliente manovra abilmente il telecomando della vettura). Appena messi sufficienti soldi da parte si trasferiranno dove possono fare le giuste conoscenze. Durante uno di questi taccheggi la presenza nell'abitacolo di un bambino in fasce le suggerisce un inaspettato mezzo per fare tanti soldi tutti in una volta.
Il padre del bambino, cliente di primo pelo, è un giovane avvocato vessato da un suocero mattatore del foro, e da una moglie che ha smesso di studiare ed è diventata madre. 


In una notte d'estate questi tre personaggi si incontrano e si scontrano, dando il peggio di sé.

Le relazioni tra i personaggi non vengono date d'amblée, anzi lo spettacolo si apre con i due fidanzati in scena, immobili, in silenziosa attesa ancora non sa  di cosa. 

Un'attesa cui segue, man mano che lo spettacolo si svolge, un lento accumulo narrativo, all'inizio tanto ellittico da richiedere al pubblico la pazienza di aspettare e la sagacia di intuire, e poi via via sempre più chiaro ed evidente, mentre si chiariscono ruoli e relazioni che culminano in un'improvvisa accelerazione del racconto, quando la storia esplode, incontenibile, nelle sue conseguenze.


La scrittura di De Bei è di una eleganza esemplare, pulita, sobria, costruita su dei dialoghi credibili, plausibili e necessari, all'apparenza spontanei e semplici e invece pensati e misurati in ogni singolo accento, ogni singola sillaba, ogni virgola su cui si radica il ritmo e la musicalità dell'intenzione di ogni parola detta

Atmosfere, sottotesto e contesto sono anche nei silenzi, nelle pause, negli interstizi di una macchina dialogica che è pura drammaturgia. 

Così la scena, scarna e astratta, non servendo a illustrare i personaggi mostrandoceli nel loro ambiente, può farsi correlativo oggettivo del loro stato esistenziale e morale. 

Un muro di quinta sale dal fondo della scena, dal quale parte un praticabile (a due metri circa di altezza dal palco, con un foro al centro  che non si vede dalla platea se non quando i personaggi ci vanno dentro), dal quale scende fin verso il proscenio una parete ripida.  Uno spazio non umano, formalmente lo spazio di una ferrovia in disuso, nel quale gli attori si muovono in precario equilibrio e dove i personaggi si stagliano in tutta la loro sprovvedutezza morale.

Una sprovvedutezza che non risiede nella prostituzione, nel taccheggio o nel cercare nel sesso a pagamento con un altro uomo un compromesso accettabile con la propria condizione di marito e padre, come potrebbe sembrare da quanto possiamo dire senza rovinare la visione di uno spettacolo che va visto assolutamente. 

La sprovvedutezza di questi tre personaggi è ben più profonda  e nasce dall'assenza di una prospettiva, dalla mancanza di una possibilità di crescita, dall'impossibilità di reciproca conoscenza e considerazione tra persone, che si radica nell'indifferenza, dalla mancata solidarietà di classe pur di mantenere il piccolo privilegio che ognuno e ognuna di noi ha o crede di avere, e che si traduce nell'invidia e nella competizione che non indirizza però al lavoro duro, ma alla soluzione facile, al soldo guadagnato senza un vero impegno, senza una vera fatica, senza una vera competenza. Una mancanza dello Stato, della società, delle persone, dunque di noi.

Il ragazzo non è immorale perchè si fa pagare per fare sesso ma perchè ha scoperto che in quel modo può fare soldi facili ed è per quello che si fa scopare facendo credere alla sua ragazza che non lo fa, perchè adeguatamente pagato. Cosciente che la giovinezza e l'avvenenza che vende sono temporanee e a scadenza si prostituisce finché può senza alcuna vera alternativa o prospettiva. 

La sua fidanzata, che ha scelto un lavoro onesto, non ha però alcuna prospettiva di crescita e subisce quel lavoro vivendo con orrore il dover toccare il cibo che i clienti del supermercato le riversano sul nastro scorrevole della cassa, come racconta al suo ragazzo in un monologo toccante e umanissimo. 

Anche il cliente del prostituto, di umili origini, che si è laureato facendo sacrifici economici, si lascia convincere dal facile guadagno dello studio affermato, decidendosi a sposare la figlia del noto avvocato che lo tiene in studio senza farlo crescere professionalmente.

Se il guadagno facile li irretisce tutti e tre De Bei ci mostra come i suoi personaggi siano sensibili a questa seduzione non solo per  indole personale ma per un'aria dei tempi dalla quale nessuno, nessuna, è davvero immune e dove l'unico discrimine è solo la capacità di un successo immediato ottenuto non importa come. 

Anche se il giovane avvocato si è mantenuto agli studi facendo la fame, questa sua capacità non diventa una qualità morale. Messo dal suocero a seguire pratiche di incidenti automobilistici non riesce nemmeno ad abilitarsi alla professione ritrovandosi invece che temprato dalle avversità fiaccato nello spirito,  prono e incapace di affrontare nuove difficoltà, da solo in una società dove l'onestà e la rettitudine non sono più un valore nemmeno nominalmente riconosciuto:  il suocero è un avvocato noto e famoso nonostante si dedichi, come scopre il genero, a pratiche illegali.  

I personaggi di Luca De Bei, schiacciati dall'unico imperativo morale rimasto, quello della successo, si ritrovano soli in una società senza storia e senza radici, schiacciati da un eterno presente nel quale non trova spazio alcuna prospettiva con la quale costruire il futuro o imparare dal passato. 

Nessuno può fare esperienza delle proprie potenzialità, ma deve misurarsi solo con lo scarto tra il proprio sé omologato agli stessi desideri di massa e la capacità di adeguamento all'unico imperativo lavorativo ed esistenziale il potere ce deriva dal denaro.
 

Nessuno sembra conoscersi veramente. Non la cassiera che si rifugia nel mondo delle modelle, nè il giovane escort che sa di piacere e questo gli basta. Nemmeno il giovane avvocato cliente del prostituto che non si scopre gay o bisex. Come racconta al prostituto è la prima volta che va con un uomo: la curiosità per il sesso con gli uomini gliela ha suscitata un suo collega di lavoro che crede di avervi ravvisato un gay represso. Una curiosità che scaturisce dalla mancanza di sperimentare checchessia. Così scoprendo per la prima volta una possibilità altra l'avvocato se ne lascia sedurre vedendovi una via di fuga dalle responsabilità di padre e di marito che vive evidentemente come un peso perchè non se ne sente l'artefice. E' la moglie ad avergli imposto il figlio, o almeno così lui crede, mentre è l'umiliazione continua a tenerlo ancora nello studio del suocero.

Nemmeno le donne sanno più sottrarsi all'impasse di questo presente: la moglie dell'avvocato, almeno da quello che ce ne dice il marito, si è abbandonata al ruolo di sposa e di madre rinunciando agli studi pesando moralmente sul marito,  che si sente così intrappolato

Anche la cassiera, nonostante appaia la mente organizzatrice
dei commerci del suo fidanzato, nonostante sia  l'esecutrice e l'ideatrice del rapimento col quale spera di ottenere subito tanti denari,
è vittima del sogno naïf della vita da top model ed è devastata dall'idiosincrasia per il cibo altrui. 

Gli uomini di De Bei, ormai incapaci di sostenere gli obblighi del patriarcato si sentono vessati dalle donne (entrambi i personaggi maschili del testo, coincidenza che tradisce forse una maggiore simpatia del suo autore per loro piuttosto che per quelli femminili). Dei personaggi femminili che pur se meno infantili della loro controparte sono monadicamente chiusi in ruoli precostituiti (moglie, madre) o in ossessioni private che le tagliano fuori da ogni connessione col mondo esterno.

Lungi dall'essere dei reietti ai margini della società i personaggi di De Bei sono giovani uomini e giovani donne  normalissimi i cui comportamenti possono essere ravvisati in quelli nostri o dei nostri amici. 

De Bei fa muovere i suoi personaggi in un universo inadeguato, privo di speranza, senza prospettiva alcuna, colpendo lo spettatore con uno schiaffo sonoro e doloroso inchiodando ognuno e ognuna a una responsabilità dalla quale ci si vorrebbe sottrarre.
 

Una inadeguatezza che non nasce da nessun pessimismo, né da un orizzonte etico verghiano (sei nato nella tua classe sociale e in quella classe sociale muori non importa gli sforzi che fai per evolverti)  ma, al contrario, dalla constatazione del disgregarsi di ogni connettività del tessuto sociale verso un individualismo sterile e omologante che non risparmia nessuno e dalle cui macerie dobbiamo ricominciare, riprendendo  le fila di un discorso abbandonato da troppo tempo. 

Di notte che non c'è nessuno è incentrato su tre personaggi interpretati con generosità e grande intensità da David Sebasti,  Azzurra Antonacci e Gabriele Granito sapientemente diretti dallo stesso De Bei, a ognuno dei quali il testo regala momenti indimenticabili  - il racconto della sua vita da studente di legge dell'avvocato (cui Sebasti regala una indolente rassegnazione già solo con la postura del corpo); l'ossessione per il cibo comprato dai clienti del supermercato che la cassiera cerca di esorcizzare ballando (e gli occhi di Azzurra Antonacci sono due pozzi neri che conducono direttamente alla voragine di solitudine del suo personaggio),   l'elencazione delle tariffe per le singole pratiche  sessuali che il giovane prostituto reclamizza, piazzista convinto di se stesso (cui Gabriele Granito regala tutta la candida innocenza della sua giovane età) - mentre paventa atti orribili dalle conseguenze inimmaginabili, per poi impennarsi nell'unico guizzo irrazionale di speranza rimasto, quello della pervicacia della vita ancora inconsapevole e assente a se stessa del neonato.

Vera abiura della speranza presente ancora nel precedente Le mattine dieci alle quattro, Di notte che non c'è nessuno  conferma ancora una volta la capacità innata e immediata di De Bei nel vedere con chiarezza nel nostro contemporaneo e nell'indicarne i guasti e le mancanze, senza alcun autocompiacimento né falsi pietismi,  richiamando ognuno e tutti al lavoro di ricostruzione morale e solidale in una società irrimediabilmente disgregata ma ancora dolorosamente  viva.

Visto il 09-05-2012