Prosa
DIARIO DI UN PAZZO ...CHE AMAVA SHAKESPEARE

Quando il Teatro si chiama Anna Mazzamauro

Quando il Teatro si chiama Anna Mazzamauro
Dell’omonimo racconto di Nikolai Gogol, scritto nel 1835, il teatro aveva già visto la fortunata riduzione di Moretti, interpretata da Flavio Bucci che ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. La storia di Aksentij Ivanovic Popriscin, un impiegato di San Pietroburgo ai tempi della Russia zarista ben si presta a una messa in scena teatrale nella quale la progressiva pazzia che emerge dalle dissonanze di un racconto apparentemente logico diventa per l'attore mezzo per esprimere al massimo le proprie potenzialità. Anna Mazzamauro riprende il racconto nella sua linearità, e lo trasla cambiando la cifra, ma non l'essenza, del suo io narrante facendone un attore di ruoli secondari che crede di essere il più grande attore mai apparso sulla scena, frustrato al punto tale da perdere la ragione, devastato da un amore impossibile per la figlia dell'impresario, davanti il quale balbetta tanto è in soggezione. Sulla sedia a rotelle, unico elemento grigio di una scena ricoperta di drappi bianchi, senza uscite di quinta, semicircolare, che abbraccia la sua interprete con claustrofobica fermezza, Anna Mazzamauro si presenta subito attore (personaggio) tormentato, in preda ai propri deliri ma mai assente a se stesso. Una situazione che diventa elegante cornice narrativa per inserirvi un florilegio di momenti shakespeariani, normalmente preclusi a una donna perchè tutti ruoli maschili (ma Anna ha al suo attivo un Cyrano de Bergerac...). Dallo Shylock del Mercante di Venezia all'Amleto al Riccardo III a Lear Anna Mazzamauro si mette al servizio del testo, dei testi, e non gigioneggia mai (come avrebbero fatto tanti illustri colleghi uomini), non si vanta, non declama per mostrare la propria bravura (che c'è ed è immensa), anche nei ruoli maschili, ma la regala ai testi che interpreta. Vestita di una tunica bianca legata di dietro con gli stessi lacci di una camicia di forza che le lascia però libere le braccia, una sorta di cappello-turbante che le copre i capelli facendone una maschera per il teatro, Anna Mazzamauro si muove a suo agio in una messinscena ardua, complessa, dove ogni rimando, ogni omaggio al Bardo trova sempre giustificazione nel testo di Gogol da cui parte senza mai calpestarlo rispettandone sempre l'essenza. Tra un monologo e l'altro, tra un momento e l'altro di questo spettacolo a più livelli, Anna Mazzamauro si cimenta anche col canto, interpretando, con una voce che ricorda sorprendentemente quella di Milly, alcuni brani di Astor Piazzolla eseguiti dal vivo da Claudio Merico, al violino, e Riccardo Taddei, alla fisarmonica. Uno spettacolo composito e complesso, impeccabile (solo le luci danno qualche perplessità un momento solerti a sottolineare battute e situazioni evocate distratte e superflue il momento dopo), forse un po' algido, ma che regala allo spettatore l'emozione di godere dell'opalescenza di un fuoco sotterraneo che divora la sua interprete, che non si concede mai il lusso di una scena madre, di un sentimento mostrato, ricercato, declamato, sempre umilmente rispettosa del testo (dei testi) che interpreta, come solo i grandi sanno fare.
Visto il 09-03-2010
al Ghione di Roma (RM)