Per iniziativa della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino e in collaborazione con il Teatro Verdi di Pisa, torna sulle scene, nella cornice neoclassica del Teatro Goldoni di Firenze, dopo oltre duecento anni il dramma per musica di Leonardo Vinci Didone abbandonata, per favorire la riscoperta del quasi sconosciuto autore. Calabrese di nascita ma napoletano d’adozione per aver vissuto fin dai primi anni nella città partenopea, Vinci rappresenta uno dei massimi esponenti della scuola musicale e operistica napoletana del Settecento. Divenuto ben presto famoso per il suo stile, Roma (dopo il successo del Farnace) volle un’altra sua opera; Vinci pensò a un libretto del Metastasio, Didone abbandonata, che il poeta romano aveva scritto due anni prima (primo libretto del Metastasio). Fu l’inizio di una valida collaborazione tra i due: Vinci utilizzò altri cinque libretti del poeta. La Didone andò in scena al Teatro delle Dame, chiamato anche Alibert (il più famoso teatro dell’opera di Roma all’epoca), il 14 gennaio 1726 con grande successo di pubblico. Secondo i dettami pontifici e l’usanza, l’opera prevedeva solo cantanti maschili. Dopo fortunate rappresentazioni in tutta Europa (persino Haendel si appropriò di qualche aria), l’opera cadde nell’oblio come la maggior parte della produzione di Vinci e della scuola napoletana. L’opera presenta una drammaturgia (amori non corrisposti) e una struttura tipicche per l’epoca, con l'alternanza di recitativi secchi e arie; unica nota diversiva è il finale dove, al posto del solito coro dei solisti o di un’aria singola, vengono utilizzati cinque recitativi che conducono Didone al suicidio.
L’allestimento è stato affidato a Deda Cristina Colonna che, affiancata alle scene da Gabriele Vanzini e ai costumi da Monica Iacuzzo, ha realizzato una regia moderna in linea e sintonia con il libretto, in cui elementi classici si uniscono a idee originali e accattivanti. Le difficoltà di rappresentare un’opera barocca secondo canoni contemporanei non viene completamente risolto dalla regista che tende a impostare i cantanti secondo una eccessiva staticità o con movimenti troppo enfatici. Le scarne scene trovano giustificazione nell’utilizzo del gioco di ombre cinesi curato dalla Compagnia Altretracce, sicuramente la cosa più originale dell’allestimento.
Il maestro Carlo Ipata, che ha riportato alla luce diverse partiture di autori contemporanei di Vinci (Jommelli, Porpora, Boccherini e altri), ha curato la revisione musicale e diretto un ridotta Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, a cui si sono affiancati Alessandra Artifoni al clavicembalo e il bravo Giovanni Bellini alla tiorba. Ipata è uno specialista della musica barocca e lo dimostra appieno nella sua direzione: sicura e senza enfasi, tutto è ben calibrato e i cantanti sono accompagnati con grande cura e intensità.
Roberta Mameli in Didone dimostra chiarezza canora e capacità interpretativa lodevoli; la voce evidenzia la drammaticità del personaggio e della sua vicenda; la sua sicurezza, il fraseggio curato, gli acuti ben calibrati rendono appieno il personaggio; si distingue maggiormente nell’aria “Se vuoi ch’io mora”, giustamente applaudita, ma meritano menzione gli ottimi recitativi. Ottima esecuzione per Carlo Allemano in Enea; il tenore, dalla presenza imponente e disinvolta, ha vocalità sicura e solida per caratterizzare con bravura un personaggio sia fiero che innamorato. Il controtenore Raffaele Pé nel ruolo di Iarba ha voce dal grande volume ed estesa con acuti agili, morbida anche nelle colorature, oltre che ottima presenza scenica. Brave Gabriella Costa in Selene, dalla voce fluida e spigliata, e Marta Pluda in Araspe, seppure un po' acerba. Discreta interpretazione per Giada Frasconi in Osmida.