Il Regio di Torino sta cercando negli ultimi anni di allargare la propria offerta ad ambiti finora poco frequentati come l’opera contemporanea e barocca, genere a cui l’ente torinese sta dedicando un progetto pluriennale per favorirne la diffusione presso il grande pubblico. Per avvicinare gli spettatori a un repertorio ritenuto difficile e per addetti, il Regio ha scelto allestimenti che affrontano l’opera antica con maggiore leggerezza e, dopo l’ironico Giulio Cesare di Haendel dell’anno scorso ambientato da Laurent Pelly nel museo egizio, è la volta di Didone ed Enea di Henry Purcell messo in scena da Cécile Roussat e Julien Lubeck, due artisti francesi che hanno maturato un percorso importante nel campo del mimo, del circo e dell’illusionismo.
Lo spettacolo viene risolto come un’opera coreografica (scelta in parte giustificata dalla natura di “masque” del capolavoro di Purcell che, oltre a canto e musica, prevede danza e pantomima): danzatori, acrobati e contorsionisti svolgono un ruolo importante nella narrazione della vicenda. L’allestimento, molto gradevole dal punto di vista visivo, ha il pregio di essere facilmente leggibile e capace di suscitare la giusta meraviglia come si conviene ad un’opera barocca. Ci sono tanti spunti interessanti, certo, ma non sono del tutto approfonditi e il continuo movimento coreografico di danzatori, acrobati, trapezisti anziché andare al cuore del dramma ne mostra solo la superficie e l’indulgere nell’iterazioni di immagini risulta talvolta superfluo.
La scena, avvolta in luci azzurrine (evocative le luci notturne e soffuse di Marc Gingold) con un cielo corrusco declinato nei toni del blu e del violetto, è attraversata da ondeggianti teli di seta celeste tesi fra scogli di cartapesta. Naiadi velate nuotano fra i flutti, alzando e abbassando le braccia con movimenti danzati, comparendo e scomparendo fra le onde in una riuscita illusione. Il mare è la cifra dell’allestimento, in quanto esprime la mutevolezza barocca (l’acqua non ha forma propria) e viene rappresentato nel contempo come superficie e profondità. Infatti, per marcare il cambio di atmosfera dalla reggia di Didone all’antro delle streghe, le rocce di cartapesta (autentiche macchine barocche semoventi) scivolano ai lati della scena, i teli ondosi si ritraggono e appaiono gli abissi: una grotta sottomarina con una maga/piovra attorniata dal forze maligne, ovvero mimi vestiti di nero che compiono evoluzioni acrobatiche, si contorcono come insetti e si arrampicano lungo veli sospesi mentre streghe/sirene fluttuano appese nel vuoto.
Il finale, oltre a regalare una bella immagine, convince per coesione e pregnanza drammatica: nella scena buia Belinda e la Donna disfano i drappeggi che ornano il vestito della regina e due immensi strascichi azzurrini vengono tesi ai lati della scena fino a creare uno specchio d’acqua inclinato. Didone s’inabissa fra i teli del vestito annegando metaforicamente nella propria solitudine. Il mare perde progressivamente profondità e spessore fino a divenire una linea turchese luminosa. Forse l’opera doveva finire così: il successivo apparire delle stelle e di un acrobata nel cielo scuro (se pur giustificati dal coro finale) stempera la commozione del lamento di morte e solitudine della protagonista.
Ottimo il cast, a partire dalla Didone di Roberta Invernizzi, cantante specialista del repertorio barocco come si ravvisa nella precisione di colorature e passaggi ma anche nella cura degli accenti per esprimere gli affetti. Ci è piaciuta la Belinda dolcissima di Roberta Mameli per la voce corposa e un canto partecipe e intenso; bene anche la Seconda donna di Kate Fruchterman. L’opera si presta a una diversa assegnazione delle voci: il ruolo della Maga, come spesso avviene in sede esecutiva per accentuare gli aspetti grotteschi, è stato affidato alla voce maschile di Carlo Allemano che si è distinto per precisione vocale e versatilità interpretativa dato che a lui erano affidati, oltre che la maga-piovra anche il ruolo del Messaggero e del Marinaio. Dell’Enea di Benedict Nelson si apprezza il canto gradevole e curato ma il ruolo non è approfondito e non assurge ad antagonista. Precise le due Streghe-sirene di Sofia Kobersdze e Loriana Castellano, Carlo Vistoli conferisce allo Spirito accenti scolpiti.
Ci è piaciuta la direzione vitale e sanguigna di Federico Maria Sardelli, specialista del repertorio barocco, che ha saputo tirare fuori dalla compagine torinese (per l’occasione potenziata da musicisti esterni e strumenti tipicamente barocchi come la tiorba e la viola da gamba) un suono preciso e ricco di colori e suggestioni, capaci di creare la giusta atmosfera. La direzione ha impresso un ritmo mobile e trascinante sottolineando gli snodi teatrali e la varietà degli affetti. Molto bene anche il coro del Regio preparato da Claudio Fenoglio, che ha commentato in modo partecipe il dolore della protagonista.
Grande successo di pubblico che ha tributato alla fine calorosi applausi entusiasti.