Presentato solo per la seconda volta al Sociale di Rovigo dalle sue origini, Die Entfűhrung aus dem Serail di Mozart era forse il titolo più atteso della stagione. Il Ratto è uno dei più celebri Singspiel: di quella forma popolare, amata nel mondo germanofono e mista di prosa e canto, questo capolavoro è senz’altro l’episodio maggiore, in cui Mozart è riuscito a mutare in un batter d’occhio l’intero assetto di una tradizione, riscrivendone le strutture con esiti sorprendenti e dando inizio alla vera rivoluzione dell’opera che approderà alla concezione del dramma musicale. Mozart compose quest’opera all’età di 26 anni, ed è considerata il suo primo grande capolavoro, di cui è davvero difficile elencare, senza rischiare di omettere qualcosa, le novità presenti.
Il meccanismo della vicenda si basa su un perfetto sistema di simmetrie, tra momenti di pathos e altri schiettamente comici, offrendo anche una testimonianza dell’evoluzione che in quegli anni stava vivendo la società mitteleuropea. Emergono infatti gli ideali umanitari di concordia e fratellanza propugnati da Giuseppe II e la volontà illuministica di superare le avversità verso le popolazioni turche da sempre nemiche dell’Europa. Ma soprattutto Mozart introduce alcuni elementi che saranno fondamentali per gli sviluppi dell’opera lirica determinando finalmente l’indissolubilità del legame tra musica, trama e testo poetico. In primo luogo l’overture, da brano introduttivo, utile a creare il silenzio in sala e a “riscaldare” l’orchestra, diviene definitivamente parte integrante dell’opera, che stabilisce con assoluta certezza il carattere del dramma che sta per iniziare. In secondo luogo egli fissa, una volta per tutte, la necessità che il libretto sia funzionale all’elaborazione musicale intervenendo direttamente sul testo.
“Troppo bello per i nostri orecchi e troppe note, mio caro Mozart”, pare abbia sentenziato l‘imperatore Giuseppe II che assistette alla prima rappresentazione dell’opera il 16 luglio 1782 al Burgtheater di Vienna. Un commento al quale il giovane Mozart, convinto del valore musicale della sua composizione, sembra abbia replicato “L’esatto numero necessario, Vostra Maestà”.
Questo allestimento è una coproduzione tra Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento, teatro Verdi di Pisa e teatro Sociale di Rovigo, caratterizzata da un’atmosfera fiabesca, dove sul piano scenografico evidenti sono i richiami alle Città invisibili di Italo Calvino e al mondo onirico de Le Mille e una Notte, secondo la piacevole e gustosa regia di Gabbris Ferrari (suoi anche le scene e i costumi). In questo allestimento il palazzo di Selim Pascià in terra di Turchia diventa, come in uno dei racconti di Calvino, una strana città senza nome. I vari elementi eterogenei e fantasiosi della scena che, durante lo spettacolo, si assemblano in forme sempre diverse rendono l’idea di un trasformismo che priva i luoghi della trama di precisi punti di riferimento e si discosta da una collocazione narrativa convenzionale sia geografica che temporale. Rimane intenzionalmente nella messa in scena lo spirito di un’evidente estetica orientale intesa come fonte di libera ispirazione. Infatti sono presenti nell’allestimento elementi allusivi tratti da figurazioni tribali islamiche o le forme in sintesi di strutture riconducibili, anche nel colore (la dominante della scena è rossa), a certe Moschee africane. A evocare con maggior efficacia la cultura islamica, intesa con grande acutezza nell’opera mozartiana, il regista evidenzia, non solo visivamente, la presenza di una grande cupola d’oro, che ricorda la cupola che domina la città di Gerusalemme.
Buono il cast giovane, che ha dato un’ottima prova. Applauditissimo il basso islandese Bjarni Thor Kristinsson (un Osmin sbruffone e perfido), voce molto originale, ripiena e profonda, perfettamente nel ruolo. Voce raffinata e sensibile, anche se con acuti inizialmente un po’ taglienti, il soprano Gabriella Costa (Konstanze). Bella voce, a tratti graffiante, del soprano Sabrina Vianello, una Blonde femminista ante litteram, che ha anche dato una ottima prova recitativa. Di buon livello anche il Belmonte del tenore Paolo Fanale, una bella voce calda, bel timbro. Il tenore polacco Krystyan Adam era Pedrillo, ottimo brio ma voce non molto convincente, senz’altro da maturare. Seria e impostata la recitazione di Andrea Zanforlin nel ruolo di Selim.
Il maestro Jonathan Webb, a capo dell'orchestra regionale Filarmonia Veneta, ha dato una lettura corretta e garbata, ma di poco slancio. Più che sufficiente la breve interpretazione del coro del teatro di Trento diretto da Luigi Azzolini.
Teatro abbastanza pieno, con un pubblico che ha apprezzato ed applaudito tutti.