Lirica
DIE SOLDATEN

I soldati e la ragazza

I soldati e la ragazza

Andata in scena per la prima volta a Colonia nel 1965 dopo una lunga e travagliata genesi compositiva, Die Soldaten è una delle opere più difficili da rappresentare per l'organico sterminato, i numerosi cantanti dalle impervie partiture, gli intrecci narrativi e descrittivi, come già raccontato nella nostra news di presentazione (https://www.teatro.it/rubriche/news/alla_scala_l_opera_dei_record_42560). Quasi sconosciuta in Italia (ci sembra un solo precedente quarant'anni fa a Firenze), l'opera è un punto fermo del repertorio del Novecento: “nella musica dei Soldaten le esperienze delle avanguardie storiche, nate dopo la Seconda guerra mondiale, convivono con la libertà di citare o ricreare materiali musicali come il jazz, Bach e altro, all'interno di una scrittura rigorosamente seriale” (Alessandro Melchiorre nel programma di sala). La presente edizione, andata in scena al Festival di Salisburgo nel 2012, è stata rimaneggiata per essere adattata agli spazi scaligeri. Tratta dal romanzo omonimo di Jakob Lenz, Die Soldaten racconta la vita dei militari intrecciata con quella della giovane Marie che, dopo ripetute relazioni con vari uomini, finisce per strada sola e abbandonata.

La scena di Alvis Hermanis e Uta Gruber-Ballehr sovrappone due file di arcate che introducono ai luoghi dei soldati, dormitori e un maneggio dove si muovono in tondo cavalli, una giostra al rallentatore senza fine, sbilanciata tra reale e fantastico, incubo ossessivo che torna in più momenti. Vetri separano due parti: il davanti, dove avviene l'azione, e il dietro, dove si vedono i soldati nelle loro occupazioni in caserma, principalmente annoiati e feriti. In proscenio i luoghi essenziali alla narrazione: il salotto borghese, la paglia delle stalle, il letto a castello. Elemento caratterizzante una cabina-teca di vetro, come la paglia già presente in “Le signorine di Wilko”, splendida regia “italiana” di Hermanis (recensione presente nel sito).
Alvis Hermanis ha il merito di aver reso con efficacia l'andamento del libretto, le suggestioni oniriche, gli afflati sentimentali, lo scivolare nella tragedia, il perdersi lungo il filo della vita, il percorso della memoria che può diventare inquietante o seducente.  Infatti il linguaggio usato non è il verismo ma un simbolismo che scivola a momenti nel surreale: la funambola-Marie che cammina sul corrimano in alto, Marie che partorisce quella stessa paglia dove sono avvenuti gli incontri carnali.
I curatissimi costumi di Eva Dessecker situano l'azione nei primi anni del Novecento e la Grande guerra si fa metafora di ogni conflitto (quell'”oggi, ieri e domani” che Zimmermann voleva come tempo di ambientazione dell'opera). Perfette le luci di Gleb Filshtinsky per bene illuminare la scena ma anche per suggerire le atmosfere, a cui contribuiscono le proiezioni di Sergey Rylko con le foto “porno” d'epoca in bianco e nero. Una messa in scena di grande impatto che conquista lo spettatore e lo inchioda alla poltrona.

Bravissimi tutti gli interpreti, sia dal punto di vista attoriale che vocale, a cominciare da Laura Aikin (Marie) ma nessuno escluso di una locandina lunghissima.
Bravissimo il direttore Ingo Metzmacher che ha ottimamente reso una partitura che vive di contaminazioni e sovrapposizioni; da leggere il suo scritto nel programma di sala tratto dall'allestimento salisburghese. Emblematico il finale, dove i tamburi si rincorrono martellanti avvolgendo la platea da  ogni parte: oltre che dalla buca e dai palchi di proscenio, i suoni vengono da vari punti della sala tramite altoparlanti in quanto i musicisti sono nella sala prove. Ottima l'orchestra della Scala.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)