Venezia, teatro La Fenice,”Die tote Stadt” di Erich Wolfgang Korngold
ONIRICA OSSESSIONE IN LAGUNA
“Die tote Stadt” (1920), interessante proposta della Fenice per l’inaugurazione della stagione, è l’opera più nota del compositore moravo Erich Wolfgang Korngold, genio precoce formatosi nel clima culturale mitteleuropeo della Secessione viennese, esiliato poi per ragioni razziali negli Stati Uniti, dove conobbe fama e successo per le musiche da film scritte per Hollywood. Dopo un iniziale trionfo l’opera cadde rapidamente nell’oblio e solo di recente sta tornando in repertorio sulle principali scene internazionali (Salisburgo, Vienna, Zurigo e in questi giorni Londra) rivelando, nonostante l’innegabile difficoltà esecutiva, forte potenziale drammatico e immediata comunicativa per la straordinaria vena melodica di una materia musicale “classica”, sensuale e opulenta, dal lirismo incandescente. La musica, che presenta forti analogie con quella di Richard Strauss, oscilla tra slanci e ripiegamenti, si dilata fino all’allucinazione o si frantuma divenendo evanescente per tradurre altalenanti stati d’animo e la dicotomia sentimentale del protagonista.
L’inquietante vicenda, tratta da un dramma del belga Georges Rodenbach, narra di un vedovo inconsolabile che vive nel culto feticista della defunta consorte fino a quando non incontra una ballerina che le assomiglia fisicamente su cui trasferisce follemente la propria ossessione fino a strangolarla con la treccia-reliquia della moglie. La quasi totalità dell’opera non è che la complessa visione onirica del protagonista dilatata su tre atti, in realtà (come tutti i sogni ) dura pochissimo, giusto il tempo di uscire e rientrare nella stanza per prendere l’ombrello dimenticato. Il sogno ha un effetto catartico e un lieto fine rassicurante: il protagonista finalmente libero dai suoi fantasmi se ne andrà da Bruges, la città morta, pronto per un nuovo amore.
Pier Luigi Pizzi firma regia, scene e costumi del nuovo e straordinario allestimento che si distingue, oltre che per la consueta raffinatezza e bellezza, per l’aderenza con il clima onirico e inquieto dell’opera. Per enfatizzare l’atmosfera decadente, psicanalitica e asfittica della camera–museo dedicata al culto della morta, lo scenografo crea in primo piano un elegante salotto nero,dai grandi cuscini e tendaggi di velluto, dove mazzi di fiori bianchi recisi, cimeli in scatole argentee, malinconiche foto in bianco e nero diffondono un’atmosfera cimiteriale e ovattata. Le tende scorrono per svelare nell’oscurità la malinconica città morta simbolo del perduto amore; una nera parete inclinata rimanda i riflessi della reale massa di acqua che Pizzi ha genialmente nascosto sul palcoscenico: Bruges come Venezia nell’acqua alta, in un gioco di suggestive corrispondenze in cui lo sciacquio (reale) delle acque stagnanti e i rintocchi delle campane evocano la morte e la caducità delle cose. Sulla parete, con un effetto visivo raffinato ma al tempo stesso carico di tensione che ricorda trasfigurazioni fiamminghe, si riflette in una visione rimpicciolita, deformata e traslata quanto avviene sul palcoscenico allagato: i ballerini della compagnia itinerante sulle gondole, le monache velate in cerchio, i bambini e i cavalieri illuminati di rosso sangue, la processione inquietante e blasfema di preti e vescovi seminudi, le case dai tetti spioventi che ruotano immerse in acque melmose color seppia.
Un ottimo cast è stato all’altezza di un’opera complessa che richiede sottigliezza e intelligenza vocale e interpretativa.
Il protagonista Paul dal volto esangue, i movimenti convulsi e sofferti,capace di vivere solo nell’inconscio, è stato interpretato con notevole impatto drammatico da Stefan Vinke, cantante wagneriano dalla voce sufficientemente salda per reggere una parte impossibile che giustifica qualche cedimento e durezza di emissione, ma che vorrebbe sonorità più sensuale e un fraseggio più ipnotico.
La sensuale e conturbante Solveig Kringelborn (nel doppio ruolo di Marietta e Marie) domina la scena come femme fatale dall’erotismo istintivo, in un misto di volgarità e sarcasmo, ma anche per la decadente malinconia con cui interpreta lo spettro della defunta. La cantante, favorita dalla frequentazione con il repertorio straussiano, trova grande varietà di accenti e domina le impennate dell’impervio ruolo con fluidità e precisione.
Ottimo Stephan Genz nella doppia interpretazione di Frank e Fritz/Pierrot per il bel timbro e il morbido fraseggio con cui cesella la sua romanza da salotto. Bellissima voce, duttile e brunita, per Christa Mayer, la fedele governante Brigitta. Nei raffinati e fantasiosi abiti neri e argentei ispirati a costumi del carnevale veneziano risaltano Eleonore Marguerre nel ruolo di Juliette e Julia Oesch in quello di Lucienne. Fra gli altri ruoli minori Gaston è Gino Potente mentre Victorin Shi Yijie interpreta il Conte Albert Mathias Schulz.
Eliahu Inbal, alle prese con una strumentazione che oscilla dall’estenuato lirismo al fragore espressionista, dimostra un ottimo controllo dell’orchestra e asseconda gli spasimi drammatici, dando minore rilievo alle componenti più oniriche e simboliste. Complessivamente buone le prove del Coro della Fenice diretto da Claudio Marino Moretti e dei Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D’Alessio.
Un pubblico particolarmente attento e coinvolto ha dimostrato pieno apprezzamento ad un’opera e ad un allestimento che meritano il viaggio e la riproposta.
A rappresentazione finita uscendo da teatro e guardando i bagliori dell’acqua stagnante sotto i ponti alle luci della sera ci si chiede un po’ storditi dov’è il confine fra realtà e finzione o se stiamo sognando pure noi.
Visto a Venezia, teatro La Fenice, il 25 gennaio 2009
Ilaria Bellini
Visto il
al
La Fenice
di Venezia
(VE)