Lirica
DIE WALKURE

Firenze, teatro Comunale, “Di…

Firenze, teatro Comunale, “Di…
Firenze, teatro Comunale, “Die Walküre” di Richard Wagner LE GUERRE STELLARI DEI NIBELUNGHI, QUEI TEMERARI SULLE MACCHINE VOLANTI La Fura dels Baus è un gruppo di teatro d'avanguardia catalano, ormai famoso in tutto il mondo, un team di matti, visionari, provocatori che si sono segnalati per la genialità ed il talento tecnologico. Il loro approccio con il Ring wagneriano, coprodotto dal Maggio musicale fiorentino e dal Palau de les Arts di Valencia, è di rispetto, ammirazione e provocazione, partendo dal senso letterale del libretto, utilizzando macchine su cui i cantanti letteralmente volano, sfrecciano, salgono e scendono nell'aria, ma soprattutto lavorando con una tecnologia video sofisticata e perfetta. Carlus Padrissa non si pone il problema di attualizzare l'azione né tantomeno di storicizzarla: l'accento è sulla metafora e sulla visionarietà, privilegiando l'aspetto fiabesco e di gioco tecnologico che sfrutta le possibilità della fotografia, delle proiezioni digitali, dei rilievi satellitari, senza dimenticare le acrobazie e quei corpi appesi in mirabili figurazioni sceniche che sono nel linguaggio furero. Al centro dell'azione di questa prima giornata c'è una coppia di gemelli, metà uomini e metà lupi, che si riconoscono proprio a partire dal loro padre lupo, Wälse. Ciò risalta immediatamente nel personaggio di Sieglinde, ritratta senza quella solita patina romantica che ne copre gli spigoli e le asperità. Infatti si muove accucciata a quattro zampe, sospettosa e spaventata da tutto, ha una corda al collo e sembra un cane alla catena, un animale selvatico in cattività, degradata da un marito violento e primitivo come l'uomo di Neanderthal, anche nell'aspetto peloso e nell'incedere scimmiesco. Sieglinde è fiaccata nella volontà dagli anni di prigionia domestica, non sogna neppure di liberarsi, fino a quando non arriva Siegmund, in cui si riconosce, come in uno specchio. Siegmund la riporta alla vita e all'uso della propria volontà, le toglie la corda dal collo, le ricorda come si cammina eretti: la redenzione arriva attraverso l'amore, insieme all'esplodere della primavera. Si alza il velatino che chiudeva il boccascena, un gufetto dagli occhi gialli si posa sul frassino vivo e cangiante (di multicolor tubi al neon) che campeggia al centro degli schermi. Ricomincia così il percorso eroico di questa donna che sacrificherà tutto per la sopravvivenza dell'amore, incarnato nel figlio Siegfried. Nell'atto secondo gli dei sono protagonisti, l'atmosfera è spaziale, tra Star Trek e Guerre Stellari. Wotan e Fricka si muovono su gru, macchine spostate a vista da comparse che li fanno sfrecciare avanti e indietro, li sporgono sbilanciati sopra l'orchestra, li alzano e li abbassano in un secondo, sospesi tra cielo e terra ma né in cielo né in terra. Innestando in modo nuovissimo e immaginifico il mito wagneriano nella sensibilità e nella cultura del nostro tempo. Una Brünnhilde con i seni grandissimi, determinata e coraggiosa, “unge” di blu elettrico l'eletto Siegmund, poi una bilancia enorme di solidi geometrici e corpi regge l'equilibrio precario del mondo. Un'immagine che rimanda a precedenti lavori della Fura. L'atto terzo si apre e si chiude con due immagini superbe, una enorme sfera che oscilla con un groviglio di corpi appesi e le fiamme che circondano Brünnhilde, tra le invenzioni più alte ed emozionanti di questa rappresentazione. Alcune Valchirie sono sulle gru di alluminio, tutte hanno complicati costumi bianchi corazzati. Quando Brünnhilde cerca di spiegare a Wotan il motivo della sua scelta di proteggere il Velsungo, una stella cometa passa sui video, ad indicare la via, a preparare la prossima giornata, quella dedicata a Siegfried. L'anno prossimo. Zubin Metha dirige la ottima orchestra del Maggio con rara intensità espressiva, senza titanismo, anzi sottolineando l'intrinseca drammaticità dei dialoghi e gli aspetti più lirici, intimi e discreti della partitura (in tutto il primo atto e nel secondo atto quando le parole sono in punta di labbra, intimissime), con un'attenzione e una sensibilità che portano alla produzione di suoni luminosi e cristallini. Il cast è estremamente omogeneo, con punte nella Brünnhilde tumultuosa e potente di Jennifer Wilson, nel Siegmund di Peter Seiffert (potente l'urlo “Valse, Valse” nel primo atto, sostenuto con padronanza del mezzo vocale e raffinatezza di emissione), nel Wotan di Juha Uusitalo (impegnato nel secondo atto completo, senza tagli), nella Sieglinde di Petra Maria Schnitzer. Con loro Matti Salminen (Hunding), Anna Larsson (Fricka) e le Valchirie tutte: Bernadette Flaitz, Helen Huse Ralston, Pilar Vàzquez, Christa Mayer, Eugenia Bethencourt, Sarah Castel, Manuela Bress, Hannah Ester Minutillo. A rendere perfetta la messa in scena contribuiscono in modo essenziale le luci straordinarie di Peter van Praet, i costumi incredibili e fantasiosi di Chu Uroz, le scene adeguate di Roland Olbeter e, soprattutto, le immagini video di Franc Aleu: da domani tutti i video che vedremo in scena sembreranno amatoriali e datati, chi avrà più il coraggio di utilizzarli, dopo questa orgia visiva? Non solo, questo Ring spazza via tutti i precedenti Ring, compreso quello, allora contestatissimo e oggi apprezzato, di Patrice Chéreau (regge invece bene il confronto quello di Robert Carsen, drammatico e ironico, geniale e coinvolgente, in scena alla Fenice di Venezia). Al Comunale di Firenze la sequela ininterrotta di meraviglie ti trattiene inchiodato alla sedia con lo sguardo appuntato sul palco e vigile per le oltre cinque ore di rappresentazione. Il pubblico è letteralmente impazzito, alla fine di ogni atto ed al termine della recita, con un entusiasmo senza pari che ha giustamente premiato una messa in scena di emozioni senza pari. Da vedere assolutamente. Visto a Firenze, teatro Comunale, il 16 giugno 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)