Il regista Guy Cassiers proviene dal teatro di prosa ed ha un approccio tradizionale con la lirica, considerando egli fondamentali i nuovi mezzi tecnologici ma imprescindibile la centralità della recitazione attoriale; quindi nel risultato dello spettacolo sono rilevanti gli apporti scenotecnici: le scene di Guy Cassiers, le scene e le luci di Enrico Bagnoli, i costumi di Tim van Steenbergen, i video di Arjen Klerkx e Kurt d’Haeseleer, le coreografie di Csilla Lakatos. Il regista parte dal concetto che Wagner critica profondamente la società borghese a lui contemporanea, che vive stancamente e senza valori di riferimento. E ciò è personificato in Wotan, la cui crisi testimonia i valori in cui non è più possibile credere.
Il primo atto è ambientato in un luogo-non luogo, come si fosse dentro una sezione di legno, il segmento di un tronco fossile, in quanto le due pareti che chiudono la scena formando un angolo sono costituite da un materiale che appunto richiama il legno pietrificato (una superficie che appare corrugata per l’effetto di luce radente e su cui vengono proiettate immagini che restituiscono lo stato d’animo dei protagonisti e i loro pensieri). Su questo, piuttosto oscuro, si staglia la casa, due pareti di luce senza profondità su cui viene proiettata l’immagine di un caminetto con il fuoco acceso oppure fronde mosse dal vento, ambiente virtuale espressione di un rapporto matrimoniale senza amore né affetto che vive solo della soddisfazione dei bisogni essenziali.
La scena è di notte, la luna vortica velocissima in alto. L’acqua contenuta in una piccola pozza crea riflessi sui visi. Le ombre dei protagonisti si allungano sulle pareti, al momento di riconoscersi Sieglinde e Siegmund sono vicinissimi, identici nelle dimensioni delle ombre. Ma basta l’arrivo di Hunding a creare uno iato: Siegmund gigantesco, Sieglinde piccolina. Le pareti della casa sono profili opalescenti di pietra venata verde e bianco che rivelano i tratti di un volto umano metamorfizzato. Il racconto di Siegmund viene visualizzato coi video: un volto umano e un profilo di lupo con le fauci spalancate sopra un groviglio di rami spinosi in lento movimento verticale dall’alto verso il basso. Poi venature blu, come onde, pioggia scrosciante azzurra che sembra dilavare le pareti della casa, ora sbiancate.
Il primo colloquio tra i due gemelli è accompagnato da tenere fiammelle che si levano timide, come un fornello acceso per cucinare un pasto, il cuore familiare della casa. Il profilo in ombra di Sieglinde svela le azioni dentro la casa, la quotidianità nei gesti. La pozione soporifera addormenta Hunding ed incendia la casa, da cui si levano fiamme che poi si estendono a tutta la scena per cessare durante il monologo di Siegfried (“impallidisce la luce, notturne tenebre”) accompagnato da un grigiore diffuso. Il frassino esilissimo, biancastro, scortecciato si allunga verso il cielo, perdendosi verso l’alto. Nel finale d’atto i due fratelli vogliono fuggire da questo mondo claustrofobico verso una vita di sentimenti più autentici e liberi: la scena si apre, le due pareti si separano creando un varco da cui si intravede una foresta virtuale di elementi verticali appuntiti.
Il secondo atto si apre con un groviglio piramidato di cavalli, una scultura plastica che pare il frontone di un tempio greco musealizzato, realizzato con frammenti di statue. Sul fondo goffrato, baluginii di luce verde, aurora boreale o riflessi dal mondo umano. In primo piano vortica una palla-globo su cui vengono proiettate foto in bianco e nero oppure seppiate, immagini di famiglia precarie e fragili, in mutevole perenne divenire. Immagini di mondi in confusione: gli dèi si stanno sempre più umanizzando, tormentati da sentimenti ed emozioni. Le immagini di volti pian piano si trasformano in lettere sparse e numeri, una pioggia di cifre intelligibili in quanto frammentate, lacrime di un modo incomprensibile e dunque perduto.
Brünnhilde e Wotan si fronteggiano come per un duello, come prima Wotan e Fricka, ma in senso opposto: infatti Brünnhilde esce di scena a sinistra, Fricka a destra. Splendidi i rapporti Wotan-Fricka e Wotan- Brünnhilde, ben delineati dal regista insieme al livore tra le due donne giocato su sguardi. Sulla palla roteante le immagini che scandiscono il susseguirsi delle scene: la faccia di Wotan mentre lui racconta le vicende dei Nibelunghi, un corpo di donna al menzionare Erda, che diviene rossastro al ricordo del sortilegio d’amore, quindi solo fiamme. E ancora: una nuvola viola, anelli di fuoco che galleggiano come meduse fiammeggianti, ma, al “Fahre denn hit, herrische Pracht, göttlichen Prunkes prahlende Schmach!” (sparisci, dunque, superbo sfarzo, vuota vergogna di divino orgoglio“, la palla si ferma e resta immobile, buia, senza più immagini e poi si solleva, via, verso l’alto, non più visibile.
Wotan se ne va e con lui tutti i cavalli; Brünnhilde resta sola nel vuoto e nel buio, si stringe le braccia al petto in un abbraccio solitario, mentre si guarda intorno nel buio deserto che è diventata all’improvviso la sua vita.
Per la scena della foresta scendono dall’alto matitoni cilindrici su cui vengono proiettate immagini di foglie mosse dal vento con effetto assai suggestivo. Un verde bosco che poi diventa neve che cade lentamente e quindi ammasso di lettere e numeri in sequenza casuale. Nell’attimo in cui muoiono Siegmund e Hunding si illuminano due linee rosse dall’alto fino al palcoscenico, mentre lingue di fuoco saettano tutt’intorno.
Il terzo atto inizia con la cavalcata delle valchirie; sullo schermo viene proiettato un groviglio di cavalli e figure umane. Ritroviamo quelle stesse linee rosse luminose, però moltiplicate con effetto random: lacrime di sangue e vite di eroi di cui si occupano le valchirie. Le quali vestono monumentali abiti, nuvole di seta, taffetà e tulle che movimentano con corde legate ai polsi come se fosse vento. Dietro il velatino di fondo scena, su cui vengono realizzate le proiezioni, si intravedono sfocatamente le evoluzioni di due danzatori acrobati che paiono sospesi nell’aria, senza gravità. Sieglinde culla in braccio i frammenti della spada come fossero un neonato. Intanto immagini di corpi galleggiano; Wotan irrompe in scena da un taglio nel telo: i corpi divengono fasci di muscoli e ossa, come tavole anatomiche che ricordano i dipinti di Bacon.
Nello struggente, lunghissimo finale le linee rosse si allungano; Wotan posa la lancia per terra, mostrandosi ancor più uomo e padre: “Frag deine Tat – sie deutet dir deine Schuld” (chiedi al tuo gesto – ti sarà chiara la tua colpa) dice a Brünnhilde per indicare la volontarietà delle azioni umane e la responsabilità personale di queste. Ma, alle repliche di Brünnhilde, ammette: “So tatest du, was so gern zu tun ich begehrt; doch was nicht zu tun die Not zwiefach mich zwang? So leicht wähntest du Wonne des Herzens erworben, wo brennend Weh in das Herz mir brach, wo grässliche Not den Grimm mir schuf, einer Welt zuliebe der Liebe Quell im gequälten Herzen zu hemmen?“ (così tu hai fatto quello che io tanto desideravo fare, ma che a non fare la necessità due volte mi forzava? Così facilmente conquistate speravi le gioie del cuore, quando una bruciante pena a me entrava nel cuore, quando una necessità atroce in me accendeva lo sdegno di arrestare nel torturato mio cuore per amore d’un mondo la fonte dell’amore?). La Valchiria insiste: sentiva di amare ciò che il padre aveva amato, che quella fosse una cosa giusta. Allora il padre le rammenta che bisogna subire e sopportare le conseguenze dell’amore: “Du folgtest selig del Liebe Macht: folge nun dem, den du lieben musst!” (tu hai seguito felice la forza dell’amore: segui ora dunque colui che devi amare). Straziante il finale, particolarmente commovente: Brünnhilde abbraccia Wotan, che rimane impietrito, distante, poi si allontanano, si voltano, immobili a fissarsi: quindi si abbracciano con grande affetto. Brünnhilde si addormenta a terra, viene sollevata su un piedistallo (nascosto dall’ampia gonna) mentre dall’alto scendono lampade rosse crepitanti da cui cade una pioggia sottile; i matitoni si tingono di rosso fuoco. En attendant Siegfried.
Daniel Barenboim cura in modo meticolosissimo la parte musicale, a cominciare da quelle arcate drammatiche, tesissime dell’ouverture che diffondono un’ansia lacerante che divora l’anima dello spettatore. Il direttore, seguito alla perfezione da un’orchestra ottima in ogni sezione, evidenzia la narratività della partitura, sottolineandone ogni snodo drammaturgico, privilegiando la componente drammatica ed emozionale a quella filosofica e metafisica con un risultato di grande bellezza sonora e timbrica. Molto generosamente, nel finale degli atti, quando i cantanti sono alla ribalta, il direttore rimane sul podio ad applaudirli insieme al pubblico.
La Sieglinde di Waltraud Meier ha grande classe e si conferma attrice sensibile ed attenta; vocalmente sa bene orientarsi nella partitura, traendo il massimo dalle sue possibilità soprattutto grazie ad un fraseggio perfetto.
Brünnhilde ha un abito dalla coda lunghissima che prima è raccolta in un ingombrante fiocco posteriore e torreggia su stivali dal tacco altissimo. Nel ruolo della Valchiria Nina Stemme è di una bravura da lasciare senza fiato, mostrando tutto il divenire del personaggio fino al commovente duetto finale: dapprima il non riconoscersi nell’immobilismo e nel conformismo della società e della famiglia, quindi il credere fermamente nelle relazioni vere di sentimenti profondi e sinceri e il combattere per vedere riconosciute le proprie idee e le proprie scelte, infine il pagare il prezzo delle proprie scelte e il vivere, fino in fondo, le conseguenze dell’amore. Il timbro è meraviglioso, come la capacità di rendere anche con la recitazione, oltre che con la voce bellissima, tutte le pieghe del personaggio. Struggente il terzo atto, quando la voce si caratterizza per venature scure e screziate.
Siegmund con l’ingombrante zaino con pelliccia lupesca è un Simon O’Neill dalla voce limpida con acuti saldi.
John Tomlinson è cantante di grande esperienza, ma il suo Hunding localmente resta in ombra.
Umanissimo e al tempo stesso titanico il Wotan di Vitalij Kowaljow, “ich Unfreiester aller” (io il più servo di tutti). Ha sempre in mano la lancia, come se dovesse ricordare, in primis a se stesso, il suo potere ed il suo ruolo familiare e “sociale”. Il viso è tinto di bianco e nero, la duplicità. La voce rende perfettamente la complessità del personaggio.
La Fricka di Ekaterina Gubanova ha voce molto bella e potente, caratterizzata da un registro centrale infuocato e matericamente sostanzioso, ricco di sfumature. Fricka difende l’ordine precostituito con veemenza, muovendosi sontuosamente con un abito imponente come un vascello.
Giuste per presenza e vocalità le otto valchirie: Danielle Halbwachs, Carola Hoehn, Ivonne Fuchs, Anaik Morel, Susan Foster, Leann Sandel-Pantaleo, Nicole Piccolomini, Simone Schroeder. Con loro i danzatori acrobati Guro Schia e Vebjørn Sundby.
Molto pubblico a teatro nonostante il gelo e la neve, grande ed entusiastico successo con lunghi e ripetuti applausi per tutti.