Visto a Napoli nell'anno delle celebrazioni mozartiane e poi rappresentato in tutto il mondo, questo Flauto ci è apparso ancora più emozionante di come lo ricordavamo. William Kentridge è autore di uno spettacolo raffinato ed efficace, capace di coniugare il senso favolistico con i simbolismi intrinseci al libretto oppure propri della cultura dell'artista sudafricano, la cui estetica è riconoscibile nella fusione di elementi dell'originale mozartiano con spunti personali. Esempi: Tamino insegue e incanta con il suo flauto magico un rinoceronte; il tema del viaggio, portante nell'opera, oggettivato nei costumi da viaggiatori in Africa nell'epoca coloniale.
Kentridge per un tempo lunghissimo ha cercato le corrispondenze tra la partitura e lo scorrere del tempo, raccordando segni, significanti e significati, partendo dal bianco e dal nero, dalla camera oscura che riflette, proietta e rovescia, da lavagne nere e dai segni bianchi che si possono tracciare sulle loro superfici per arrivare a un nero accecante e vitale. La macchina fotografica è presente all'inizio e ritorna in più momenti a simboleggiare il rapporto tra luce e tenebre, tra bene e male e lo stesso spazio scenico diventa una sorta di camera oscura in cui ad essere sviluppata e proiettata è la stessa vita: nel finale le quinte sono sistemate in modo da ricreare uno spazio rastremato come l'interno del soffietto delle antiche macchine fotografiche (una sezione di questo è il Glockenspiel che viene dato dalle tre dame a Tamino).
Kentridge tralascia gli interrogativi e le considerazioni politiche e sociali, arrivando a una messa in scena intrisa di malinconia ma vitale, poetica e struggente, che incanta e coinvolge. Una messa in scena intessuta di multiformi suggestioni, supportate da una pluralità di livelli semantici sovrapposti e leggibili, tra le immagini neoclassiche alla Schinkel e le proiezioni animate dello stesso Kentridge. Immagini geometriche (linee e punti), vegetali (foglie e piante), animali (rinoceronti, uccelli, leoni, serpenti), umane (disegni e video di storiche cacce al leone). Immagini ed ombre che introducono o commentano le varie scene, dove compaiono simboli massonici ed esoterici, antichità egizie e greche, figure dinamiche di animali, oggetti inanimati, esplosioni nel passaggio dalla notte al giorno e tanto altro, tra luci e lucine, punti e linee che segnano, sottolineano, si rincorrono.
La scenografia unica (dello stesso Kentridge e di Sabine Theunissen) ha quinte dipinte in bianco e nero e due tapis roulant, ma a questa semplicità si sovrappone la complessità di videoproiezioni e disegni luminosi proiettati sulle stesse scene, con un effetto quasi naif, molto poetico e coinvolgente, mostrando il tempo della vita, le mutevolezze della vita, la poeticità della vita. A cominciare dal serpente dell’inizio, che è l’ombra di un braccio, oppure quando un battito d’ali riempie il palcoscenico e quindi il mondo. Le immagini di Kentridge scorrono così, una dopo l’altra, con l’accompagnamento della musica di Mozart, seducendo e commuovendo con segni emotivi basilari ma intensi ed inattesi, che lasciano subentrare l’azione narrativa all’azione pittorica in modo naturale.
Lo spettacolo è elegante e sofisticato, memorabile, anche grazie ai costumi coloniali di Greta Goiris, alle luci prefette di Jennifer Tipton e ai video di Catherine Meyerburgh, oltre alle citate scene. E il pubblico rimane incantato. Qui anche dall'ascolto.
Roland Böer suona il Glockenspiel e dirige l'orchestra in modo convincente; il suono è pieno, matericamente dorato, illuminato in modo incisivo, arricchito grazie all'apporto dei “rumori” (gocce d'acqua, crepitio del fuoco, versi di uccelli, catene e clangori metallici) aggiunti da Kentridge e René Jacobs. Ai complessi scaligeri in ranghi ridotti si sono aggiunti James Vaughan al fortepiano e Igor Caiazza alle percussioni.
Il coro è stato ottimamente preparato da Bruno Casoni, che ha seguito anche il coro di voci bianche dell'Accademia del teatro.
Alex Esposito è un superbo Papageno attorialmente e vocalmente: brillante nel rendere in modo divertente ma misurato il personaggio, dotato di voce perfettamente sonora in ogni registro, espressiva e suggestiva sia nelle arie che nel parlato, affrontato con dizione perfetta. Albina Shagimuratova è una Königin der Nacht dal timbro cristallino ma corposo, con una emissione morbidissima ed omogenea, compatta; sfoggia agilità e imperiosi picchiettati; il legato è perfetto nella prima aria e la proiezione nel registro superiore è ottenuta senza alcuno sforzo nella seconda aria, stemperando la consueta rabbia in una ieratica austerità. Steve Davislim è un Tamino dolce e dalla voce senza cedimenti, anche se la crescita del personaggio nel corso dell'opera è poco evidente. Genia Kühmeier è una Pamina di incantevole perfezione vocale, morbidamente delicata ma non piagnucolante, piena di sentimento in “Ach ich fühl's, es ist verschwunden”. Günther Groissböck è un Sarastro di gran lusso: bello e voluminoso il timbro vocale, dotato di grande espressività per tratteggiare un personaggio mai altero e distaccato, anzi teso ad insegnare, spiegare, come nell'inizio del secondo atto; sonoro e suggestivo il registro basso, assai frequentato. Peter Bronder è un Monostatos in fez, adeguato vocalmente, che affronta senza difficoltà “Alles fühlt del Liebe Freunden”. Eccellenti le tre dame (Aga Mikolaj, Heike Grötzinger, Maria Radner), i cui abiti coloniali hanno pennellate di linee. Perfetti Detlef Roth (Sprecher e Erster Priester) e Roman Sadnik (Zweiter Priester e Erster geharnischter Mann), come anche la Papagena di Ailish Tynan e i tre fanciulli (Sara Panzieri, Elena Caccamo ed Eleonora De Prez) che sono a cavallo di una lavagna, intenti ad usare righe, squadre e regoli, gli strumenti della conoscenza razionale. Completa il cast Simon Lim (Zweiter geharnischter Mann).
Teatro esaurito, grande successo di pubblico con infiniti applausi: un flauto incantatore.