Dies irae n° 1, andato in scena nell'ambito della rassegna Le vie dei festival, è il primo momento di un progetto diviso in 5 episodi, 5 spettacoli; a sé stanti, o, viceversa, fruibili come un politicco che si interroga sulla fine della specie. Della nostra specie, beninteso.
I 5 episodi sono affrontati con lo spirito che caratterizza ogni produzione di Teatro Sotterraneo il gruppo fiorentino che lavora insieme dal 2004, 4 giovani che provengono da ambiti culturali completamente diversi. Un approccio lieve, svagato, al quale corrisponde un linguaggio scenico spoglio e apparentemente informale che permette loro di costruire, in realtà, un discorso lucido e profondo sull'uomo (e la donna) e gli ambienti in cui interagisce, denunciando, tramite l'apparente leggiadria della messinscena, la perfidia e la ferocia che lo (ci) caratterizza.
L'episodio n° 1 vede quattro personaggi bardati con tute da lavoro ad alta protezione, dotate di cappuccio e con tanto di visiera di plastica, di un bianco immacolato, compresi guanti e stivali di gomma, a metà tra l'apocalittico e il post-atomico, con le quali, in uno spazio tappezzato da
enormi fogli da disegno, sul pavimento e sulla parete di quinta, armeggiano con della tempera rossa diluita che spruzzano da dei contenitori macchiando pareti e pavimento e sporcando loro stessi. Mimano situazioni di violenza e di morte, per lasciare verosimili schizzi di vernice che riproducano schizzi di sangue. Dinanzi l'impassibilità del loro agire e all'alacrità con cui mimano azioni violente, che potrebbe essere quella di addetti agli effetti speciali di un film dell'orrore, così come di fronte all'evidente artificio scenico del sangue il pubblico (numerosissimo, che ha fatto registrare il tutto esaurito) ride dei gesti violenti (mimati e sostenuti onomatopeicamente dai quattro attori) e delle loro conseguenze (gli schizzi di sangue), ride di quello che sembra un approccio ludico e infantile alla violenza dove si mimano guerre e ci si sporca, concretamente. Ma mano però che l'effetto straniante si disperde nell'accumulo di una violenza che, senza perdere il suo aspetto astratto, si rivela sempre più nella sua concretezza (sventramenti, sgozzamenti, fino ad arrivare a vere e proprie torture e a amputazioni di arti il tutto mimato e ripetuto per riprodurre adeguati e corrispondenti schizzi di sangue-vernice), la leggerezza della rappresentazione perde ogni sua leggiadria e si esplicita in tutta la sua pesantezza simbolica: i quattro attori che si lordano e mimano uccisioni rappresentato il genere umano, una specie che uccide, mutila e sfrutta altri esseri umani. In sala non si sente più una risata. Lo spettacolo d'altronde non permette resistenze ilari: dopo un inizio nel quale gli unici suoni sono quelli onomatopeici fatti dagli attori con le proprie bocche, uno dei quattro attori si sfila la tuta lordata di sangue (rimessa a posto in asettici contenitori
come quelli dei reperti di una squadra investigativa) e si mette a coordinare i gesti dei tre attori rimanenti, ora intenti a mimare sevizie e torture, indicando alla regia di alzare il volume di una musica di commento ogni volta che le urla della seviziata (impressionanti e vere) si fanno più forti. A questo disturbo sonoro contribuisce anche un allarme lasciato suonare al momento opportuno mentre la musica raggiunge un volume assordante fino al climax nel quale la performance finisce, e la scena rimane vuota lordata di sangue e in silenzio: un monumento all'indifferenza di noi spettatori, peggio, uno
specchio che rimanda al pubblico l'immagine di sé, intento a divertirsi di fronte alla violenza, a teatro come nella vita reale.
E da teatro si esce con molta meno voglia di ridere...
Visto il
26-09-2009
al
India
di Roma
(RM)