Prosa
DISSONORATA. DELITTO D'ONORE IN CALABRIA

Grottammare, teatro dell'Aran…

Grottammare, teatro dell'Aran…
Grottammare, teatro dell'Arancio, “Dissonorata – un delitto d'onore in Calabria” di Saverio La Ruina QUELLA VITA CHE SCIVOLA TRA LE PAROLE Ma il chador delle donne iraniane e il velo delle donne musulmane sono così diversi dai fazzolettoni neri delle donne di certi entroterra o di certi sud italici? La storia di Pasqualina è una storia “piccola” ma emblematica di una lunga catena di sopraffazioni sulle donne e sugli esseri deboli delle società. Storie ancora oggi presenti in qualche parte di questo mondo globale. Sulla scena Pasqualina è anziana, seduta su una sedia, illuminata di taglio. Si abbandona a un flusso di parole seguendo, non linearmente, il flusso dei ricordi, accavallati dal tumulto dei sentimenti che quei ricordi riportano alla luce. Riannodando il filo della memoria, Pasqualina riannoda il suo destino. E quello di tutte quelle donne che, come lei, sono state vittime. Senza scelta, senza possibilità. Fin da bambina Pasqualina è stata abituata a guardare a terra, camminando per strada contava le pietre. Tutta l'infanzia e la giovinezza sono passate nell'attesa del matrimonio, visto come la liberazione: finalmente può guardare dritto davanti a sé, finalmente può guardare il mondo, anche solo per vedere com'è fatto. Ma attenzione, “se non sei sposata sei una puttana”. Perchè avere figlie femmine era una disgrazia per i genitori. E Pasqualina “spera e si dispera”. Pasqualina “fatica come una mula”, per dimostrare a se stessa e ai suoi familiari che non è una disgrazia averla in casa. Il suo è un vero cursus honorum di pastorella, man mano che cresce le affidano animali più grandi nelle dimensioni e più importanti nell'economia familiare. E l'unico svago, l'unico divertimento è quel viaggio in mezzo alle cassette nel cassone dell'ape guidato dal padre. In quella realtà Calabrese di montagna e arretratezza, in quei tempi non così indietro nel secolo scorso, le donne sono sempre a lutto, a volte persino “i lenzuoli sono nivuri”. Le donne non parlano tra loro, non si vestono, bensì “si coprono”. E Pasqualina è la terza figlia, per cui bisogna aspettare che le altre due si sposino (soprattutto la Teresina) prima di accasare lei. A causa di questa gerarchia, Pasqualina teme che l'uomo di cui è innamorata, e crede ricambiata, non la aspetti (in quegli anni di guerra c'è penuria di uomini “sposabili”). E lei non lo può sopportare, perchè quando lo vede le sembra “che il cuore si rompe nel petto per quanto batte forte per amore”. E allora cede a lui che la tenta in continuazione. Ma lui la compromette e poi la abbandona. Mentre Pasqualina racconta, le dita tormentano l'orlo della scamiciata dimessa, abbassandolo sotto le ginocchia, le mani si torcono e si sfregano l'una contro l'altra, i piedi nelle povere usurate ciabatte dondolano sfiorando il pavimento o appoggiano solo la punta con movimenti ripetitivi ed ossessivi, che quasi seguono il moto della narrazione. Il suono delle parole si unisce al suono dei sassofoni e delle percussioni di Gianfranco De Franco, che dal vivo esegue le sue composizioni, perfetta e suggestiva eco del potere evocativo della parola. Saverio La Ruina interpreta con gradne partecipazione emozionale Pasqualina; mantiene per tutto il tempo una posa composta e dimessa; il suo sguardo si sposta da uno spettatore all'altro, a ogni spettatore si rivolge, creando un effetto di comunicazione intima e personale. Non è dato sapere se la storia che sta raccontando sia vera oppure no, ma non importa: è inaccettabile quello che viene narrato. Infatti Pasqualina è incinta. E viene trattata come un'appestata: il fratello e la sorella arrivano a darle fuoco, perchè “è andata con gli uomini prima di sposare”. In quel momento si sente puzza, come di arrosto. Non si scivola mai nei toni del melodramma perchè la commozione è mista all'ironia, in una elaborazione drammaturgica asciutta e ficcante che ha nell'uso dello stretto dialetto un motivo di forza comunicativa, semantica, fonetica. Nonostante tutto la vita è forte, tenace, e Pasqualina porta a compimento la gravidanza: Saverio nasce il giorno di Natale. E la narrazione si conclude sulle note di “Gracias a la vida”, che mi ha dato tanto.. “Dissonorata” passa in poco più di un'ora, ma non lascia indifferenti. Tutt'altro. L'emozione è profondissima, durante la recita e poi dopo, a ripensarci, a riascoltare quella narrazione che ancora echeggia nell'anima. Saverio La Ruina è struggente nel ruolo della protagonista, è palpabile quella vita appartata di cui racconta, una vita pesante nell'animo dello spettatore, quella sopraffazione, quell'abuso, quella violenza radicale radicata in una società che si ostina a definirsi “civile” (ma non esiste un'epoca civile, come scrisse Marguerite Yourcenar). Meritatamente Saverio La Ruina è candidato al premio ETI – Gli Olimpici del Teatro, scardinando un sistema legato alla notorietà ed alle grandi produzioni. Infatti “Dissonorata” è prodotto da Scena Verticale, un gruppo che ha la sede a Castrovillari e che da anni osserva, declama, indaga la propria terra, utilizzando un dialetto contaminato tra calabrese e lucano. Una realtà vivace del nostro teatro che mette al centro l'analisi acuta e intelligente del sud come emblema del tutto, non solo nazionale, ma anche globale. “Primavera dei Teatri” è il festival da loro ideato e curato che da anni propone uno sguardo interessante su un certo teatro, in particolare sui nuovi linguaggi della scena contemporanea. E Saverio La Ruina dimostra con questo “Dissonorata”, da lui scritto e interpretato, che il teatro italiano, al di fuori degli Stabili, è più vivo che mai. Lo spettacolo, intenso, incalzante, emozionante, coinvolgente, è imperdibile. Il pubblico marchigiano, che l'ha apprezzato nella rassegna “Teatri invisibili”, l'ha applaudito con convinzione. E qualcuno si è anche commosso. Visto a Grottammare, teatro dell'Arancio, il 9 settembre 2007 Francesco Rapaccioni
Visto il
al Magnolfi di Prato (PO)