Tutti la chiamano Divina e il suo nome è Claire Bartoli, una star televisiva, per anni punta di diamante di una emittente presso la quale conduce un programma televisivo di successo, che un giorno, improvvisamente viene licenziata.
Nel tentativo di restare “sulla cresta dell’onda”, intuisce la necessità di reinventarsi e si rivolge a una sua antica fiamma (Massimo Cimaglia), che conduce una scadente trasmissione di cucina su un network neanche così concorrente…
L’adattamento italiano di questa commedia del francese Jean-Robert Charrier, realizzato dalla stessa protagonista – quel “ciclone” di Anna Mazzamauro – tenta di percorrere strade che si rivelano non troppo efficaci per l’intrinseca debolezza del testo originale.
Nel primo atto, peraltro piuttosto breve, succede quasi nulla. Il culmine è rappresentato dalla protagonista che viene a conoscenza del proprio licenziamento e medita di vendicarsi. Tutte le altre situazioni risultano divertenti, ma abbastanza scontate, e solo la graffiante verve della protagonista, supportata in scena dal già citato Cimaglia e da un brillante terzetto di attori (Giorgia Guerra, Michele Savoia e Lorenzo Venturini), rafforza una commedia che, almeno per i primi 40 minuti, sembra procedere a vuoto.
Le cose cambiano nel corso del secondo atto, durante il quale il plot subisce un repentino e maggiore sviluppo, che conduce gradualmente al tipico – ma in questo caso non sempre prevedibile - finale dal retrogusto amaro: a forza di “grattare la corteccia” dei personaggi che le ruotano intorno, Claire si scopre una donna “divinamente e consapevolmente sola”.
E sarà d’aiuto addirittura la ribalta finale per scoprire qualcosa in più su tutti i personaggi, che tutto sommato ottengono maggior risalto dalla disinvoltura degli interpreti, guidati dall’esperienza registica di Livio Galassi, e non da una drammaturgia originale evidentemente meno “calibrata”.