Musica
DIWAN, L'ESSENZA DEL REALE

Reale Essenza

Reale Essenza

Non è mai una sorpresa, un concerto di Franco Battiato.

E non lo è perché da lui ci si attende, appunto di essere sorpresi. Né lo è per la sofisticazione e l’eleganza sempre più precisa con cui avvolge le sue ricerche, perché è esattamente ciò che si sa di poter desiderare, ed e ciò che puntualmente avviene. Due elementi aprono lo sfondo estetico di questo progetto: una esplorazione colorata di blu, rosso e verde in maniera alterna così da creare sempre un tema dominante fra i tre, in ogni brano, ed il divano/diwan su cui si siede, che pur non essendo una novità avendolo scelto già per altri concerti, stavolta appare una evocazione, se è vero che la parola deriva anch’essa dallo stesso termine diwan che è il nome dell’intera operazione (come è scritto anche nell'Encyclopédie de l'Islam, a proposito della parte islamica dell'India, il divano faceva parte appunto del moderno arredo, il dīwān-i khāna).
Ma il Diwan di Battiato è soprattutto la riproposizione di un Diwan/canzoniere poetico che si rivela nel valore del mettere insieme corde, voci, direzioni, passati e toni, e trasformare tutto in uno strumento unico da portare sul palcoscenico. Diwan nasce dalla ricostruzione e dalla riproposizione dell'ambiente culturale della Sicilia del XII secolo, una terra nella quale crebbe una scuola poetica araba di cui preziose tracce sopravvivono in rari manoscritti, e l'ensemble cui è affidata la ricostruzione riunisce sulla scena Etta Scollo, Nabil Salameh dei Radiodervish, il tastierista Carlo Guaitoli, Gianluca Ruggeri del Parco della Musica Contemporanea Ensemble, Sakina Al Azami, Jamal Oussini al violino, Alfred Hajjar con bouzuq e viola e Ramzi Aburedwan, fondatore degli Al Kamandjâti.

Ad essi, si aggiunge una presenza che sembra seduta accanto a Battiato, sullo stesso divano, quella di Ibn Hamdis, il poeta più rappresentativo di quei tre secoli, il quale durante il suo esilio spagnolo ad al-Andalus, nel momento in cui la cultura araba allora dominante veniva man mano sostituita dalla mano Normanna, portò dentro di sé una nostalgia della terra siciliana che gli fece comporre versi come quelli che Battiato canta nella sua Aurora, il brano di Apriti Sesamo adattato da Nabil Salameh con l'aggiunta della strofa finale di Manlio Sgalambro (Ho ceduto ai desideri che il mare mi ha proibito di incontrare...).
Il canzoniere di Hamdis fu descrittivo quanto visionario, infinito cesello su una parete che svela paesaggi, animali, nature morte, ori ed argenti, dimensioni inanimate e metafisiche, ed elaborazioni che si rincorrono a vicenda, con metafore dalla precisione ed evocazione tali da essere state paragonate alla complessità di un non lontano Dante Alighieri.

Un concerto antropologico, in cui le radici arabe ed i brani scritti per l'occasione si affiancano ad alcune canzoni degli anni ’80 che conservano strofe in arabo (Veni l’autunnu, Arabia song, Personalità empirica e L’ombra della luce, l’Ode all’inviolato, Niente è come sembra, Strade dell'est), fino ai bis ed oltre, con Magic shop, L'animale, una delle più incantate versioni di sempre de La cura, Stranizza d'amuri, Era de Maggio, un capolavoro medievale arabo-andaluso come Fogh In Nakhal e la chiusura da stadio con Vorrei vederti danzare, in piena standing ovation e danzata da tutti sotto al palcoscenico, che restituisce all'ultimo istante anche il rapporto con il popolo dei suoi concerti di ogni altro genere. Franco Battiato da giovane studiava arabo a Milano, da dove si sarebbe dovuto trasferire a Tunisi avendo vinto una borsa di studio di tre anni, “ed invece sono rimasto a scrivere l'Era del cinghiale bianco”. Una scelta per la quale lo stiamo ancora ringraziando.

Perché forse qualcuno si chiederà come fa, un messaggio di apparente decostruzione del reale, a non fare male, a non far sentire soli, a non lasciare sgomenti; ebbene, è perché Battiato nelle sue parole, nella sua ricerca e nella sua resa artistica (come quando pronuncia a modo suo la parola "nulla") mette ben altro: mette l'idea di un riparo dall’ipertrofia del superfluo, suggerisce l'istinto della salvezza, ed adombra una lettura delle cose che sembra perfino possibile, fin quando resta carico della sua poetica. Come quando incrocia il canto di Lontano dei Radiodervish ("Ma chi attraversò i suoi occhi non tornò / E io vorrei riuscire a vivere davvero, viaggiare in questo mare nascosto dentro me"). E la sensazione allora è che anche attraverso questo percorso di restauro culturale e spirituale, così come in molti altri suoi viaggi che si risolvono infine nel sorriso che lui ci mostra dell'Essenza, sia molto meno difficile, trovare l'alba dentro all'imbrunire.

Visto il 25-11-2013
al Augusteo di Napoli (NA)