Lirica
DON CARLO

DON CARLO TORNA A CASA

DON CARLO TORNA A CASA

La stagione lirica del Bicentenario verdiano del teatro Comunale di Modena si è aperta con uno dei titoli più impegnativi del repertorio verdiano sia per allestimento che per musica, Don Carlo. L’opera torna nella città emiliana dopo ben trent’anni in una produzione del Pavarotti in collaborazione con i Teatri di Piacenza, nella cosìddetta versione di Modena. Don Carlo fu musicato da Verdi su un libretto in lingua francese di Joseph Méry e Camille du Locle tratto dal poema Don Carlos, Infant von Spanien di Friedrich Schiller. La prima rappresentazione, in cinque atti e in francese, ebbe luogo l'11 marzo 1867 al Théâtre de l'Académie Impériale de Musique di Parigi, completa di balletti e con grandi scene corali, secondo l'uso della tradizione del Grand-Opéra francese. L'opera, forse la più ambiziosa e monumentale di Verdi, fu tradotta in italiano la prima volta per un allestimento al Covent Garden di Londra, avvenuto nel medesimo anno, per poi iniziare la sua circolazione anche in Italia dal teatro Comunale di Bologna. Quindici anni dopo Verdi iniziò la prima revisione dell’opera, realizzando una riduzione in quattro atti per l'allestimento del teatro alla Scala (1884), più agile e di minor difficoltà esecutiva, destinata perciò a quella maggior fortuna che effettivamente ha continuato a riscuotere fino ad epoca recente. Tuttavia, appena due anni dopo, Verdi autorizzò il ripristino del primo atto, per una versione (senza le danze dell'originale francese) che andò in scena proprio a Modena nel dicembre 1886, in cui della prima versione viene conservato il primo atto della Foresta di Fontainebleau e della seconda fanno parte i pezzi aggiunti, o rimaneggiati, da Verdi. Questa versione, chiamata da allora in poi edizione Modena, fu ripristinata nell'uso teatrale un secolo dopo, in gran parte grazie a Claudio Abbado e a Luca Ronconi che la vollero per il bicentenario scaligero del 1977. Ed è proprio con un coraggioso nuovo allestimento di quest’ultima versione che ha aperto la stagione lirica modenese, in una produzione realizzata dal newyorkese Joseph Franconi Lee.
Franconi Lee recupera, con questo allestimento di Don Carlo, la ripresa che nel 1986 fece, insieme allo storico assistente di Luchino Visconti Alberto Fassini, e ispirata proprio alla messa in scena che il grande regista milanese realizzò nel 1965 per il teatro dell'Opera di Roma. Un Don Carlo, perciò nel pieno della tradizione scenografica e registica, molto d’impatto visivo, anche se carente in alcuni punti, come il movimento delle masse e lo scarso impatto tra grand-opèra e presenza scenica. Certamente è un titolo impegnativo anche da un punto di vista registico: il grand-opèra alla francese, a cui Verdi si ispirò, è faticoso da allestire adeguatamente in un periodo di tagli economici. Un bell’allestimento, grazie anche allo splendido lavoro dello scenografo e costumista Alessandro Ciammarughi, i cui costumi cinquecenteschi hanno reso giustizia ai personaggi in scena, ed i pannelli dipinti hanno fatto da sfondo alle vicende susseguitesi nella narrazione, prodotti e dipinti nella storica sala di scenografia del teatro Comunale, ormai fra le ultime attive sul territorio nazionale. Sul palcoscenico compare una base fissa in legno che rappresenta il tribunale dell’Inquisizione, dietro al quale i pannelli dipingono man mano le varie ambientazioni: dalla iniziale foresta di Fontainebleau, fino al chiostro del convento di San Giusto nell'ultimo atto. Sul palco si alternano oggetti importanti come la tomba di Carlo V o la fontana dei giardini della Regina, il tutto essenziale, ma mai banale. Molto bella la scena dell’autodafé con il doppio fondale che permette di dare visione sia dell’esterno che dell’interno della Chiesa. Unico richiamo volutamente esplicito di Ciammarughi alla scenografia di Visconti è la tomba di Carlo V, centrale nella sua monumentalità negli atti II e V.
Nel ruolo del titolo il giovane tenore spagnolo Sergio Escobar ha dato una prova più che sufficiente nella difficile parte, bella la voce, di grande intensità ma negli acuti tende all’urlato; colore chiaro e stile molto elegante. Cellia Costea in Elisabetta di Valois è stata brava, dotata di una bella voce molto calda e corposa all’ascolto, ma anche acuta laddove la partitura lo richieda; volume pregevole, ha reso il ruolo della regina con eleganza e bella presenza scenica: la celebre aria Tu che la vanità è stata omaggiata con applausi calorosi al termine. Una delle voci più belle della serata è stata quella del basso Giacomo Prestia in Filippo II, riuscito a rendere in maniera convincente il personaggio, dando il meglio di sé nelle note più basse con la sua voce corposa e con un’ intensità largamente apprezzata dal pubblico, soprattutto nella la celebre Ella giammai m'amò...!. Il giovane baritono Simone Piazzola, in Rodrigo marchese di Posa, ha dato una buona interpretazione del ruolo, con voce sicura e convincente, particolarmente applaudito nell’aria O Carlo, ascolta del IV atto. Buona riuscita anche per Alla Pozniak nella Principessa Eboli, bella presenza scenica e timbro vocale molto particolare, particolarmente scuro e pastoso, che si destreggia bene sia nelle note gravi, che in quelle del registro più acuto; applaudita la sua Canzone del velo. Luciano Montanaro era il Grande Inquisitore. Ricordiamo inoltre: Irene Candelier nel Paggio Tebaldo e nella voce celeste, Paolo Buttol nel Frate, Giulio Pelligra nel Conte di Lerma e Marco Gaspari nell’araldo. Bravo il Coro Lirico Amadeus della Fondazione del teatro modenese, diretto dal maestro Stefano Colò; meritatamente applaudito grandemente nella scena dell’autodafé.
La direzione del maestro Fabrizio Ventura lascia molto perplessi. L’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, benché brava nel suo complesso, copre gran parte delle voci e alcune parti risultano eccessivamente forti e incontrollate.
Ad un’ora insolita il Teatro poteva considerarsi abbastanza pieno, con un pubblico internazionale che ha molto apprezzato l’allestimento e i cantanti, applaudendo copiosamente.

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