Don Carlo è un insuperato punto di arrivo nell’evoluzione del linguaggio verdiano, anche per la varietà di sfumature psicologiche dei protagonisti e per il libretto, tratto da Friedrich Schiller, tra i migliori mai avuti a disposizione da Verdi. Con la versione in quattro atti data in prima alla Scala nel 1884 si ha il vantaggio di un ingresso immediato nella vicenda e di essere subito immersi in una maggiore tensione drammatica e musicale pur se restano senza spiegazione i tanti riferimenti a Fontainebleau e la vicenda appare senza un vero e proprio principio. In ogni caso Don Carlo rimane un capolavoro enigmatico, dal fascino misterioso e avvolgente, opera suprema i cui personaggi hanno i contorni angosciati delle figure di El Greco, prigionieri di ideali irraggiungibili, tormentati da sogni, speranze e aspirazioni fino all'agognata pace dell’anima profetizzata dal frate.
Nella seconda parte della stagione dedicata al bicentenario, la Scala lo mette in scena, intrecciato ad Aida, nell'allestimento di Stéphane Braunschweig che aveva inaugurato la stagione 2008 e che poi era stato portato in turnè in Giappone, la versione in quattro atti in questa ripresa senza la trenodia del finale del terzo atto: uno spettacolo da noi già recensito che pone in risalto il senso di perdita dell’innocenza e dell’infanzia. La regia è didascalica, conduce il pubblico in modo piano e comprensibile nella vicenda, mostrando sia i passi del plot che l’evoluzione drammatica dei personaggi pur con qualche dubbio sull'insistente presenza dei bambini “doppi” dei protagonisti. La scenografia, dello stesso Braunschweig, improntata a una rigorosa geometria, è concepita come spazio astratto e, al tempo stesso, dell’anima; efficace il restringersi delle cornici con effetto cannocchiale che rimpiccolisce o ingigantisce le figure; meno calzante l'immagine della foresta di Fontainebleau che pare televisiva. Spetta ai costumi sontuosi e filologici di Thibault Vancraenenbroeck ambientare la vicenda nel Rinascimento, salvo un’incursione nel contemporaneo con il coro forse a significare l'atemporalità di certe situazioni. Giuste le luci di Marion Hewlett.
Nel 2008 Daniele Gatti ne aveva dato una lettura superba; in questa ripresa si è occupato della direzione Fabio Luisi ma, nella recita a cui abbiamo assistito, sul podio c'era Pier Giorgio Morandi che ha diretto senza mordente una partitura invece ricca di forza drammatica, effetti orchestrali e armonie cromatiche, rendendola arida e piatta e spegnendone la potenza con la conseguenza di limitare lo scavo psicologico e dunque l'efficacia a vantaggio di una certa noia che aumenta col passare degli atti. Resta notevole la prova del coro preparato da Bruno Casoni.
Fabio Sartori è corretto e solido nel ruolo del titolo: la linea vocale è scorrevole e luminosa negli acuti e, se i chiaroscuri potrebbero essere messi in maggiore evidenza, tuttavia si è apprezzato per la convinta adesione al personaggio, bene abbinato al Rodrigo di Massimo Cavalletti, morbido nell'emissione nonostante qualche traccia di enfasi; la voce del baritono, ampia e di bel colore, brunita e vellutata, gli consente di fraseggiare in modo nobile e partecipe. Il Filippo di Stefan Kocàn ha bella voce ma non autorevolezza e l'aspetto camuffato dal trucco, anziché aumentarne l'età per maggiore verosimiglianza, lo rende grottesco. Martina Serafin ha notevole presenza scenica e contegno algido e distaccato, la voce è temperamentosa, ben proiettata e adeguatamente sostenuta ma in acuto diviene vetrosa e cambia colore, mentre nel grave è poco sonora. Efficace la principessa d'Eboli di Ekaterina Gubanova: guizzante e leggera nella canzone del velo, in seguito rabbiosa e vendicativa con vorticose discese nel grave pur se in alcuni momenti tende a farsi meno udibile nell'amalgama con le altre voci e l'orchestra. Si è apprezzato il frate di Fernando Rado per la piacevolezza del mezzo e le giuste intenzioni interpretative. Poco inquietante il Grande Inquisitore cieco di Rafal Siwek, vestito di porpora cardinalizia. Adeguati, nei ruoli di contorno, Barbara Rita Lavarian (Tebaldo), Carlos Cardoso (Conte di Lerna), Carlo Bosi (Araldo reale), Roberta Salvati (Voce dal cielo). A completare il cast i sei deputati fiamminghi: Ernesto Panariello, Simon Lim, Davide Pelissero, Filippo Polinelli, Federico Sacchi, Luciano Montanaro.
La serata era in ricordo del tenore Franco Corelli nel decimo anniversario della scomparsa. Pubblico numerosi, applausi misurati.