Lirica
DON CARLO

Macerata, Arena Sferisterio, …

Macerata, Arena Sferisterio, …
Macerata, Arena Sferisterio, "Don Carlo" di Giuseppe Verdi UN DIFFICILE SENSO PER DON CARLO Don Carlo ha inaugurato la stagione maceratese in Arena, nella versione scaligera del 1884, quattro atti in italiano. Senza l’antefatto (con l’incontro e l’amore a prima vista tra Elisabetta e Carlo, Filippo che invia la delegazione spagnola a chiedere la mano della principessa di Francia per sé invece che per il figlio) l’opera è più pregnante e l’azione più compatta, ma si comprendono meno gli eventi ed il motivo di Fointainebleau, che riappare nel corso dell’opera come ricordo dell’attimo di felicità tra i due innamorati, perde di senso. Alla guida dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana Gustav Kuhn, bacchetta di prestigio soprattutto nel repertorio verdiano e che dovrebbe conoscere l’organico benissimo, essendone il direttore da anni sembrava una certezza; invece il Maestro non riesce assolutamente a far risaltare la partitura, forse l’esito più alto di Verdi. Infatti all’inizio l’Orchestra è eccessivamente lenta e ridondante, con toni ampissimi, poi, dalla canzone saracena in poi, acquista i tempi giusti (anzi talvolta è troppo accelerata) ma non riesce mai a cogliere le sottigliezze di una scrittura raffinatissima, non facendo assolutamente emergere la tinta cupa, emozionante e raggelante, che domina tutto. Addirittura l’ingresso del Grande Inquisitore, uno dei momenti che preferisco di tutta la produzione verdiana, invece che essere accompagnato da un assolo di controfagotto, che inchioda la vicenda negli abissi della tessitura musicale grave, un momento di inquietudine quasi sovrannaturale, qui un coacervo di strumenti copre l’effetto del legno, quasi nascosto e invisibile ad un udito pur attento. Anche il cast, inadeguato all’opera, non è stato saldamente diretto dal Maestro. Don Carlo ha bisogno di sei ruoli principali e principeschi, di qui le oggettive difficoltà legate alle sue poco numerose produzioni italiane. Nei ruoli femminili Michela Sburlati è una Elisabetta che fa pensare ad un ruolo affrontato troppo presto, soprattutto nei registri alti, dove la voce, pur bella, arriva stentata e metallica, anche se lei appare altera o appassionatamente partecipe a seconda del racconto che si dipana; Tiziana Carraro una Eboli terribile nel ruolo di agilità della canzone saracena, poco controllata e poco melodica nel resto. Nei ruoli maschili emerge il Rodrigo di Vladimir Stoyanov, voce bella, ben impostata, sicura anche quando l’Orchestra tende a coprirla (e succede spesso, non solo con il baritono), perfetta emissione e precisa dizione. Incolore la prestazione di David Sotgiu nel ruolo del titolo: il tenore ha sì una bella voce, ma l’idea è che anche per lui sia troppo presto per affrontare il ruolo (e all’aperto), non riuscendo a dare spessore a un personaggio che è amante, eroe, libertador ed altro. Assolutamente scadente il Filippo II di Andrea Silvestrelli, emissione eccessivamente gutturale, registro quasi sempre bloccato sull’acuto, una voce potentissima ma senza controllo, il cui colore è addirittura più scuro di quella del Grande Inquisitore. Quest’ultimo, interpretato da Zelotes Edmund Toliver, è senza infamia e senza lode. Ma la cosa peggiore è il pacchetto “regia, scene e costumi” di Lorenzo Fonda. I costumi sono informi e incolori sacchi uguali per tutti. Le scene sono un mix forse di opere dello stesso Fonda (pittore, alla prima esperienza con l’opera lirica) che creano un luogo non luogo di assoluto cattivo gusto e nessuna capacità evocativa. La regia è inesistente, non caratterizzante e senza carattere nel movimento delle masse, in quello dei cantanti e soprattutto dal punto di vista della mancanza di un’idea portante, in un’opera di estrema complessità come Don Carlo. Infatti i momenti migliori sono quelli in cui la scena è pressoché priva di ogni elemento, cioè il solo essenziale muro dello Sferisterio: il chiostro di San Giusto e la prigione, mentre l’unico momento di rilievo registico è l’autodafè, con gli eretici condannati che si dibattono in controluce sul rogo evocato da fumo rosso. Dunque il lavoro compiuto da Lorenzo Fonda non riesce a contestualizzare l’opera né a decontenstualizzarla per renderla atemporale ed aspaziale, esemplare e paradigmatica da ogni punto di vista, come invece il capolavoro verdiano è oltre ogni dubbio. Forse i due enormi pensatori che all’inizio sono ritratti ai lati della scena si chiedono proprio se tutto questo ha un senso. Visto a Macerata, Arena Sferisterio, il 16 luglio 2005. FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Arena Sferisterio di Macerata (MC)