Lirica
DON CARLO

Questa produzione, proveni…

	Questa produzione, proveni…

Questa produzione, proveniente da Salisburgo (2013) e già riversata in un video edito da Sony Classical, propone la versione cosiddetta di Modena (1886), in italiano e in cinque atti, senza balletto. Rispetto alle revisioni apportate dallo stesso Verdi per la Scala nel 1884, si ripristina l’atto di Fontainebleau, nell’ambito del quale viene anche reincorporato, come ormai è prassi, il coro iniziale dei boscaioli e delle loro famiglie, che sottolinea le difficoltà del popolo francese, intento a fronteggiare, oltre al rigido inverno, anche la guerra con la Spagna. Donde il sacrificio di Elisabetta, costretta ad anteporre, obtorto collo, la ragion di Stato a quelle del cuore. Oltre tre ore e mezza di musica, che diventano cinque ore di permanenza in teatro per effetto di ben tre intervalli. Troppi.

Myung-Whun Chung evidenzia efficacemente il contrasto tra l’atmosfera in qualche modo “delicata” del primo atto e il clima opprimente della corte spagnola. La sua lettura esplora di preferenza il côté intimista e privato della vicenda piuttosto che gli aspetti più esteriori e spettacolari; ne risulta un Don Carlo crepuscolare e decadente, intriso di malinconia e di pessimismo.

Nel ruolo del titolo Francesco Meli esibisce, come di consueto, una tecnica da manuale, con un suono sempre perfettamente coperto e immascherato e quindi ben proiettato e omogeneo lungo tutta la gamma, eccezion fatta per qualche tensione negli estremi acuti, da sempre suo tallone d’Achille; la dizione nitida e scolpita e il fraseggio nobile ed espressivo rappresentano quanto di più vicino al paradigma del tenore verdiano sia oggi possibile immaginare. Krassimira Stoyanova è un’Elisabetta dalla voce solida e molto ben emessa; l’interprete si rivela però laconica sul piano delle sfumature oltreché decisamente datata dal punto di vista della recitazione. Simone Piazzola è corretto ma nulla più: il suo approccio interpretativo è alquanto sommario e non dà adeguato conto dell’enfasi utopistica del personaggio di Rodrigo. Riserve analoghe solleva l’Eboli di Ekaterina Semenchuk, robusta vocalmente ma superficiale nel fraseggio. Nella recita cui abbiamo assistito Ferruccio Furlanetto è stato sostituito da Ildar Abdrazakov, che offre un Filippo II ricco di chiaroscuri  e vocalmente più in regola di Furlanetto, ma assai meno carismatico. Pessimo l’Inquisitore vociferante di Eric Halfvarson. Ottimo il coro, discrete le seconde parti.

Al pari dell’Aida scaligera di due anni fa, Peter Stein propone un allestimento di taglio tradizionale, “rinfrescato” da un’estetica stilizzata. Questo nuovo corso del regista berlinese  non ci convince. Manca slancio teatrale, manca un’indagine psicologica dei personaggi, manca un presidio adeguato su alcuni cantanti (leggasi lo sciagurato Inquisitore di Eric Halfvarson, ma anche la recitazione ampollosa, stile-diva-del-muto, di Krassimira Stoyanova). Insomma: Stein appare stanco e a corto di idee e si rifugia nella routine. Da un uomo di teatro straordinario qual è stato è lecito attendersi di più.

Visto il 29-01-2017
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)