Ci sono opere che patiscono non poco, se date in forma di concerto, prive quindi del côté visivo. E il Don Carlo che il Teatro Comunale di Modena ha appena registrato a porte chiuse, ed offerto on line sulla piattaforma gratuita OperaStreaming, rientra a pieno diritto fra queste.
Tanto nella versione parigina – con i ballabili di rito all'Opéra - quanto nelle due versioni italiane (1884 Milano, 1886 Modena) siamo infatti di fronte all'opera più monumentale e 'spettacolare' di Verdi, intrisa di una formidabile teatralità che deve potersi sprigionare sulle tavole del palcoscenico. Momenti, situazioni cui è ingiusto, oltre che ingrato, dover rinunciare. Specie se dopo essere entrati nelle ombre austere del chiostro di San Giusto e poi, in contrasto, respirato l'aria dei fioriti giardini dell'Escorial, non possiamo mescolarci alla folla accorsa all'auto da fé dinnanzi la Basilica di Antocha, ed assistere con i sovrani al rogo degli eretici.
Né essere testimoni delle cupe riflessioni di Filippo II, nel gabinetto regale dove filtrano le prime luci dell'alba, e poi scendere con Posa nell'oscuro e tetro sotterraneo che fa da prigione a Don Carlo. Né assistere all'addio fra lui ed Elisabetta, accanto alla fredda tomba dalla quale appare lo spettro di Carlo V.
Niente scene, ma in compenso che cast!
Com'è, come non è, questo Don Carlo ce la siamo goduto pure così, poiché il Comunale di Modena ha messo in campo una vera e propria corazzata canora, il cui ponte di comando è retto da Jordi Bernàcer. Attorno a sé ha l’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, sul fondo il Coro Lirico di Modena.
Di quest'opera sempre in divenire, la versione adottata è quella scaligera, in quattro atti; quella in cinque - con il prologo di Fontainebleu – il teatro emiliano ce la propose nel 2012. La concertazione del direttore valenciano è accurata e precisa, ed organicamente articolata a dovere, gliene diamo atto. Però nell'insieme ci pare un po' slentata, povera di vibrazioni, di suggerimenti ambientali e psicologici, un tantino parca nei colori. Priva di grandiosità, a farla breve, destando la netta impressione di una carente connotazione teatrale che qualche eccesso d'enfasi peggiora persino.
“Voce, voce, voce”, il celebre motto verdiano
Don Carlo tocca ad Andrea Carè che rende bene tanto l'ingenue ed utopiche illusioni del disgraziato Infante di Spagna, quanto il suo vano struggimento amoroso. Come sempre, spicca la brillante luminosità dell'emissione, consoni fraseggi e buone sfumature non mancano, l'emissione viaggia in quarta dovendo impegnarsi quasi sempre nel registro di centro. Qualche difficoltà nel canto più di slancio e nella salita agli acuti, però, emerge qua e là, rendendoli mozzi e non sempre gradevoli.
Anna Pirozzi si cimenta per la prima volta nella figura di Elisabetta di Valois, allungando la lista delle sue belle eroine verdiane. E' una parte musicalmente difficoltosa, più d'altre, pure psicologicamente: una e trina, è consorte regale, è madre (benché putativa), ma anche trepida amante. Nondimeno eccola superare ogni scoglio di slancio, con un canto ineccepibile e di singolare espressività: svettante e lucida nelle righe più alte del pentagramma, il registro basso, sul quale la parte più volte insiste, per lei non desta problemi. Il loro duetto finale, nell'avello imperiale, è forse l'apice dell'intera serata.
Un baritono, due bassi, un mezzosoprano
Il solido Rodrigo di Luca Salsi ci prese già al debutto italiano del ruolo, a Bologna nel 2018. Tra i massimi baritoni verdiani, senza ombra di dubbio, il baritono parmense è dotato di una colonna di fiato copiosa e controllatissima, di un fraseggiare incisivo, di una vasta paletta di accenti e di colori, comune a pochi rivali. E per il solido mestiere qualche sbandamento iniziale, qualche calo d'intonazione sono presto stati superati.
Filippo II lo vediamo consegnato al canto nobile, austero ed imponente, ricco di interessanti e profonde annotazioni espressive di Michele Pertusi. Intrigante, per il bel timbro vellutato ed opulento, ma anche per la puntuale condotta tecnica, si palesa la prova del mezzosoprano romeno Judit Kutasi, al suo debutto nei panni della Principessa d'Eboli. Prova ancor migliore, se il personaggio fosse caratterialmente scavato più a fondo.
Quanto al basso georgiano Ramaz Chikviladze, lo vediamo conferire tenebrosa enfasi vocale al suo Grande Inquisitore, ma senza profondervi troppa finezza. Per finire, vediamo Andrea Galli impegnato nei due ruoli del Conte di Lerma e dell'Araldo, Michela Antenucci in quelli di Tebaldo e della Voce dal cielo, Adriano Gramigni in quello del Frate.
Il Coro modenese, preparato fa Stefano Colò, si disimpegna bene, specie nella sua componente virile.