Lirica
DON CHECCO

Don Checco in salsa napoletana

Don Checco in salsa napoletana

Il re Ferdinando II di Napoli amava particolarmente l’opera Don Checco, composta da Nicola De Giosa (1820-1885), il principale compositore barese del XIX secolo e che debuttò al San Carlo nel 1850. De Giosa rappresenta uno dei maggiori eredi del genere buffo ottocentesco, che vede il suo apice in Rossini e Donizetti e infatti proprio di quest’ultimo fu allievo a Napoli. Il soggetto tipico da commedia degli equivoci unito a una musica brillante e godibilissima ne decretarono un successo straordinario, sia tra il popolo che a corte, grazie anche alle parti in dialetto napoletano; ma purtroppo, come tanti piccoli capolavori musicali, anche quest’opera cadde nel dimenticatoio.

Il Festival della Valle d’Itria la ripropone per la regia di Lorenzo Amato, che l’aveva allestita l’autunno scorso al Teatro di corte di Napoli, e la revisione filologica e musicale di Lorenzo Fico. Amato riesce a cogliere in pieno l’aspetto partenopeo dell’opera, creando un tutt’uno vivace, briosamente leggero e indubbiamente comico. L’azione dalla prima metà dell’Ottocento viene spostata in avanti di cent’anni, senza nulla togliere alla riuscita. La scena unica di Nicola Rubertelli rappresenta l’interno dell’osteria di Bertolaccio, dove si svolgono i due atti, con pareti rivestite di maioliche; particolarmente curata è sicuramente di bell’effetto e consona al testo di De Giosa. Amato muove i personaggi con perizia e riesce a rendere nella ricerca psicologica del singolo il proprio lato umoristico; un umorismo pacato, mai volgare e mai sforzato, ma candido e spontaneo, proprio della commedia napoletana, complici anche i cantanti che hanno contribuito a essere abili tessitori e mattatori nel riuscito allestimento.

Matteo Beltrami, alla guida dell’Orchestra Internazionale d’Italia è riuscito a estrarre dalla partitura di De Giosa tutto il brio e la dinamicità in essa contenuta. Con mano esperta ha portato gli orchestrali alle esigenze del palcoscenico con tempi spediti, facendo emergere gli echi donizettiani della partitura.

Nel ruolo del titolo un istrionico Domenico Colaianni, che al canto unisce doti attoriali e comiche non comuni: certamente in Colaianni, un vero mattatore, quello che non fa la voce fa la verve, ma rimane sempre un gigante del ruolo buffo; incarna perfettamente il personaggio di Don Checco e il suo napoletano esce spontaneo e non può che portare alla risata. Carmine Monaco in  Bertolaccio riesce a far da spalla a Colaianni in una teatralità spassosissima; Monaco possiede una voce brillante e dalla bella estensione. Carolina Lippo riveste il ruolo di Fiorina, unico personaggio femminile dell’opera; la dolcezza della voce e la chiarezza del suono, dopo un inizio titubante, ne hanno fatto una scaltra e delicata innamorata, a suo agio nel ruolo comico. Rocco Cavalluzzi è un bravo Roberto, giovane e dalla voce ricca e con bel fraseggio; da sottolineare la sua innata verve comica che fino all’ultimo ha fatto godere il pubblico. Buona la prova di Paolo Cauteruccio, in Succhiello, anche il giovane baritono unisce alle più che discrete doti vocali una buona verve attoriale. Molto valida la performance di Francesco Castoro, l’innamorato Carletto. Discreta la prova del coro maschile della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca diretto dal Maestro del coro Cornel Groza, che fa da contorno, piuttosto anonimo, alle situazioni comiche dei protagonisti.

Visto il
al Verdi di Martina Franca (TA)