DON CHISCIOTTE

Franco Branciaroli realizz…


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Franco Branciaroli realizza il progetto di una vita : portare in scena Don Chisciotte e Sancho Panza, ovvero la finzione e la verità. Con le voci di Vittorio Gassman e Carmelo Bene essere la sintesi e l'immagine scanzonata di due mostri sacri della prosa italiana della seconda metà del Novecento. I due mattatori della scena sono interpretati attraverso l'amore tipico di Branciaroli per i profondi significati del teatro classico, reinventato con la fantasia, il travestimento e il puro divertimento della recitazione. Dietro un sipario barocco semiaperto, un bancone di bar ingombro di bottiglie di superalcolici, le debolezze dei due grandi attori.  Alcool e sigarette in quantità ad indicare altezze e cadute tra le quali si muove spesso il genio.
“Don Chisciotte è un enorme trattato sull’imitazione: così come lui imita i cavalieri, io imito i cavalieri della scena”, questa la premessa con cui Franco Branciaroli affronta Don Chisciotte. E con questo espediente vagabonda verbalmente tra i caratteri dei due mattatori e ripercorre alcune delle scene più celebri del grande romanzo picaresco del "siglo de oro" spagnolo. Questo è un dialogo sospeso in una dimensione di sogno, in cui prende vita la vicenda dell’hidalgo morbosamente appassionato di poemi cavallereschi, tanto da farsi trascinare in un mondo fantastico. E lui, Branciaroli, in questa fantasmagoria, immagina e fa immaginare i due colleghi nell'aldilà  mentre confessano che avrebbero sempre voluto mettere in scena il libro più d'avanguardia che ci sia. Li fa parlare e così, magicamente, per il tempo di uno spettacolo, Gassman e Bene riprendono vita: risentiamo i loro dialoghi, i loro battibecchi, il loro immaginario. L’imitazione corrisponde a un nascondersi, come afferma modestamente Branciaroli, che plasma le due voci diventate mitiche, nobilmente manieristiche. Le “maschere verbali” dei due grandi protagonisti della scena teatrale italiana, danno anche occasione di ritrovare atmosfere di un Gran teatro che non si vede con la frequenza che sarebbe auspicabile. Il divertimento con un pizzico di nostalgia è la temperatura emotiva dello spettacolo, che con il suo gioco di rimandi, di storie narrate, commentate, citate e riprodotte, diviene anche una grande riflessione sulla creazione artistica e sul teatro. Il gioco della vita si svela sul palcoscenico nella sua complessa e meravigliosa vacuità che rende sempre uniche le opere, rivisitate e interpretate da  Branciaroli, che sul palco è solo il suo teatro  riassunto sulla scena, le sue domande sulla verità, l'identità e l'amore. B. è attore in costante ricerca delle ragioni dell'essere e del non essere, che è quando l'atto della suprema finzione incontra la contraffazione letteraria e Don Chisciotte è forse la summa di tutto questo: il folle della piccola nobiltà, ormai in disarmo che cerca nei libri le risposte alla sua stessa esistenza. Cerca uno specchio in cui riconoscersi, qualcuno da imitare per diventare eroico in un mondo di piccoli savi mediocri. Un viaggiatore della coscienza, dove con l'immaginazione si può costruire un mondo nobile anche in una realtà ignobile. La novità del romanzo di Cervantes è uno spazio vuoto, lo spazio vuoto e labirintico della coscienza moderna, la contraffazione della contraffazione. Che cosa è vero e cosa falso nella realtà tra pubblico e narratore tra personaggio ed autore? E' una lotta tra la follia e la realtà. Franco Branciaroli è riuscito a celebrare con la sua rilettura l'essenza del teatro: l'imitazione e il richiamo al passato uniti al reinventarsi continuamente nel presente. Nella sua istrionica interpretazione il gusto per l'imitazione vocale fa sì che la meditazione e il messaggio risultino ancora più evidenti e forti e i contenuti risaltano nitidi e intatti, rigenerati dall'invenzione e dalla sua stessa forza e contraffazione astratta. La mancanza di naturalismo nella recitazione, tipica nelle interpretazioni di Branciaroli, diviene qui veicolo privilegiato della riflessione che non si attua in termini seri e paludati, ma attraverso la finzione-verità. Ma questo è anche un omaggio - in tempo di crisi - all’universale e aggregante linguaggio musicale, e dunque al “suono” della parola, che raggiunge nel virtuosismo di Branciaroli stupefacenti vette interpretative.
Il finale? Non è una vera fine, cosa che sarebbe pertinente solo con il mondo dell’al di qua, mentre nel tempo eterno i due mattatori, e idealmente Branciaroli con loro, possono ripetere all’infinito, variandola e reinventandola, la rappresentazione: il sipario non scende mai del tutto.

Visto il 17-02-2011