L'operazione è chiara, l'idea è ottima, il risultato accettabile, la performance evitabile. Non perché non sia una buona prova attoriale ma imitare due voci, due modi di fare teatro due personaggi come Vittorio Gasman e Carmelo Bene è questione delicata da affrontare e si rischia di far il verso del merlo senza coglierne la melodia, l'essenza. E così Gassmann è restituito nel suo modo di muoversi e affabulare con voce grave solenne melodiosa e dall'uso estemporaneo delle doppie mentre Bene è voce nasale dis-armonica e mero uso di microfono e sigaretta: solo forma e niente sostanza.
Nello spettacolo si dichiara che “si imita per mostrare cosa si è preso in prestito... un gesto di umiltà” ma è una contraddizione in termini: se non ci fosse stata la parodia “manieristica” dei due grandi ma umilmente dimostrazione di se stessi come attore, Branciaroli avrebbe potuto davvero mostrare sia il suo dedito nei confronti di Gassman e Bene sia il frutto di quel prestito.
Don Chisciotte si fa cavaliere errante per trasfigurazione non per mera imitazione, si è nutrito di lettura epica l'ha metabolizzata e si ricrea, nella sua follia, essere originale ed unico. Raffazzonato certo ma sincero nella sua ricerca e messa in discussione della verità, di se stesso, dell'amore.
Tolto il gioco dell'imitazione si ha una splendida interpretazione del Chisciotte di Cervantes, un atto d'amore per un opera che ha dato avvio al romanzo moderno, all'uomo moderno.
Branciaroli restituisce tutta la poesia e la ricerca di senso del “Cavaliere della triste figura”:
<< il cui valore arrivò
a tal punto che ebbe in sorte
che la morte non trionfò
della vita con la morte>>
Vale la pena ascoltare questa riesumazione di anime eterne questo gioco di specchi su cui è riflette la nostra immagine distorta perché, forse, è quello che potremmo davvero essere.