Vittorio Gassman e Carmelo Bene s’incontrano in una dimensione ultraterrea, tra l’inferno ed il paradiso, e lì tra una sigaretta ed un whiskey battibeccano, duellano, si sfottono ed insieme , fingendosi l’uno il Don l’altro il Sancho, raccontano alcune avventure di Alonso Chisciano, il quale a sua volta finge d’esser cavaliere.
Come scrive lo stesso Branciaroli nella brochure di sala, questo spettacolo è un trattato sull’imitazione e sulla restituzione, in quanto si imita per ridare ciò che si è preso in prestito.
Ed incarnandosi cosi come suole fare un medium, con la voce e con il corpo una volta nei panni di Gassman l’altra in quella di Bene, porta avanti questo spettacolo di puro istrionismo vocale, dove non mancano grande senso dello humor, nell’accezione che Branciaroli-Gassman allude, eleganza, affabulazione. Una matrioska di teatro nel teatro, cosi come dichiarato dall’affascinante scenografia di Margherita Palli, illuminata con maestria non comune dalle luci di Gigi Saccomandi. Se non avessi letto la brochure, che mi ha preparato ad assistere in maniera attiva al gioco proposto, avrei perso i primi minuti nel tentativo di capire le sue silenziose regole.
Un ultimo pensiero su questo spettacolo mi porta a fare una riflessione sull’imitazione, o meglio a paragonare l’imitatore all’attore: secondo il primo l’artificio risulta compiuto allorquando la riproduzione è talmente fadele da poter ingannare. L’attore invece dovrebbe ritenersi soddisfatto quando traduce la natura attraverso un punto di vista,cosi come vuole la concezione che l’artista è un uomo che mostra ad un altro uomo ciò che lui non sa vedere.
Al gusto dello spettatore, non certo al mio che presenta ben poche attrattive, rimando questa sentenza nel merito di questo spettacolo.
Visto il
20-01-2009
al
Nuovo (Sala Grande)
di Torino
(TO)