Il teatro Sancarlino era a Napoli il tradizionale tempio della comicità. Lì Antonio Petito, ultimo grande genio della comicità napoletana antecedente alla riforma scarpettiana, soleva parodiare le opere del cosiddetto teatro ufficiale, rappresentato nel vicino teatro Fondo, ora Mercadante. Così fece con “La Francesca da Rimini”, la cui parodia poco piacque al suo autore, il poco incline all’autoironia Gabriele D’Annunzio, e con il “Don Fausto”, chiaramente riferito all’eroe di Goethe.
Arturo Cirillo, regista dal fine intelletto e dall’indubbia classe stilistica, sceglie, per il suo incontro con l’autore Petito, proprio quest’ultimo testo, ritornando sulla comicità napoletana di inizio novecento, a cinque anni dal successo di “Mettiteve a ffa l’ammore cu’mme” di Eduardo Scarpetta.
Come era giustamente prevedibile, nulla della precedente regia di Cirillo è riscontrabile in questa sua ultima fatica, nessuna caratterizzazione estrema per i personaggi in scena, e nemmeno tempi frenetici e ritmi marionettistici. Qui, anzi, il regista ha puntato sullo straneamento interpretativo ed ha dilatato i tempi come in un lungo e farneticante sogno, nel quale i personaggi appaiono come deformate figure, provenienti da un passato irrimediabilmente lontano, come le rovine del palazzo d’epoca tra le quali vivono, anzi rivivono, la delirante storia dell’eroe romantico e la sua ricerca di eterna gioventù. Una gioventù negata, pessimisticamente, da questa visione quasi angosciante, in cui Petito è presente poco o nulla, ed il testo, per Cirillo, è solo un pretesto per affrontare egli stesso il mito di Faust attraverso una parodia fittizia.
Chi segue come il sottoscritto da anni il lavoro accurato e profondo di questo colto ed arguto regista, non può fare a meno di notare un intenzionale cambiamento di rotta, una maturazione espressiva che presagisce nuove dinamiche teatrali di cui questo lavoro è probabilmente prologo e sperimentazione. Non è un caso che lo stesso Cirillo, per una volta, non è in scena come attore, sottolineando la sua funzione di autore. In scena sono, invece, cinque bravi e collaudati attori, in una vera e propria gara di talento e tecnica, dalla quale escono tutti straordinariamente vincenti. Da Salvatore Caruso e Rosario Giglio , rispettivamente Fausto e Mefistofele, energici e coinvolgenti, a cui fanno da contrappunto Antonella Romano e Luciano Saltarelli, due straordinari interpreti dotati entrambi di una misurata ed al tempo stesso intensa espressività comica fino ad arrivare alla sorprendente Sabrina Scuccimarra, a suo perfetto agio nei panni di un lunare ed asessuato Pulcinella. Uno spettacolo, insomma, che per certi versi può risultare spiazzante, dalla cui visione non si esce sicuramente indifferenti, e che, al di là delle condivisioni stilistiche, appare affascinante ed altamente teatrale. Collaborano alla riuscita le già citate scenografie di Massimo Bellando Randone ed i costumi di Gianluca Falaschi, mentre una menzione a parte la merita il Maestro Francesco De Melis, autore delle canzoni e delle musiche di scena, che rappresentano un ulteriore arricchimento espressivo.
Visto il
al
Boni
di Acquapendente
(VT)