Lirica
DON GIOVANNI

DON GIOVANNI ALIAS DON CHISCIOTTE

DON GIOVANNI ALIAS DON CHISCIOTTE

Dopo novanta festival e alla vigilia del centenario dalla prima edizione, Don Giovanni va in scena per la prima volta all’Arena. Il problema principale forse era l’acustica, considerati l’orchestra ridotta mozartiana e le voci del repertorio; in questo caso il problema è stato ben superato con un abile gioco di microfoni, che rendono udibili voci e strumenti senza dare l’idea dell’amplificazione artificiale ed elettronica.

Il nuovo allestimento è di Franco Zeffirelli, ormai regista di riferimento per gli allestimenti areniani, che fa entrare in scena Don Giovanni e Leporello come Don Chisciotte e Sancho Panza: il primo a cavallo con cappello a larghe falde, il secondo lo segue camminando e spronando un asinello sopra al quale è caricato un baule. Ma quello che poteva essere uno spunto interessante per una lettura originale dell'opera finisce qui.
La scena è un grande arco neoclassico-barocco a tre fornici, caratterizzato dall’horror vacui che spesso affligge lo scenografo: ogni superficie libera è occupata da stemmi, scudi, decorazioni; a chiudere i fornici una cancellata dorata, due rampe di scale raccordano il fornice centrale allo spazio del palcoscenico, abbracciato da due tetrapili che si muovono in orizzontale a seconda dell’esigenza scenica.
I costumi di Maurizio Millenotti sono settecenteschi, completi di parrucche coi capelli legati in rigide code e scarpe con tacco; per differenza Leporello ha i capelli cortissimi e Don Giovanni ha i capelli lunghi e spettinati.
Le luci di Paolo Mazzon tingono la scena di giallo aranciato e aumentano la suggestione di Siviglia; nel finale il rosso avvolge tutto, insieme al fumo e a comparse striscianti.

La regia non immette nuovi spunti o motivi di riflessione, segue il dipanarsi della storia in modo prevedibile e scontato, a tratti noioso; i movimenti sono quelli necessari a occupare il posto sul palco da cui cantare e poi uscire; i rapporti tra i protagonisti sono delineati dal libretto piuttosto che con il movimento scenico. A volte le scene sono talmente affollate di comparse che si fatica a individuare i protagonisti. Numerosi monumenti funebri caratterizzano il cimitero; la tomba del Commendatore si apre in due, ne esce l’uomo che cammina come un automa in grigio e porta dietro con sé Don Giovanni.

Daniel Oren (seduto, contrariamente al solito), alle prese con un repertorio non frequentato con assiduità, dirige in modo misurato e con tempi bilanciati, mai troppo veloci, per consentire ai cantanti di eseguire quanto dovuto nel grande spazio; l’orchestra lo segue con particolare convinzione, anche se, inevitabilmente, molti dettagli della partitura si perdono per l’ampiezza dell'arena.

Erwin Schrott è un Don Giovanni di riferimento per la voce morbida, la fisicità, la capacità interpretativa che si dipana nei movimenti e nell’espressione del viso, in una parola l’allure magnetica del personaggio che blocca su di lui lo sguardo e l’attenzione dello spettatore. Marco Vinco è un Leporello dalla voce perfettamente scura e bene usata, che indugia forse troppo in gigionerie e buffonerie ma che ben tratteggia il ruolo, impostato come un uomo insicuro e dipendente interiormente. Anna Samuil ha voce aspra e fin troppo corposa per Donna Anna, la linea di canto non è morbida e il personaggio risulta distante. Maria Agresta, che abbiamo apprezzato in ruoli verdiani, non brilla come Donna Elvira: poco leggera nelle agilità, poco corposa nel grave, soprattutto manca del carattere imperioso e furioso. Preciso e luminoso il Don Ottavio di Saimir Pirgu, corretto il Masetto di Deyan Vatchkov, dalla regia messo poco in risalto. Piacevole la Zerlina di Geraldine Chauvet, che esce dallo stereotipo dei soprani aspri e adolescenziali per una voce matura e duttile (una maggiore cura della dizione porterà a risultati migliori). Con loro il commendatore di Gudjon Oskarsson e il coro dell’arena preparato da Armando Tasso.

Pubblico numeroso, molti applausi a scena aperta e un trionfo per tutti nel finale. L’opera è stata interrotta per qualche minuto durante il sestetto a metà del secondo atto per qualche goccia di pioggia, giusto per ricordare la piacevolezza dello spettacolo open air che in Italia non ha eguali.

Visto il
al Arena di Verona (VR)