Una ripresa alla grande quella del Macerata Opera Festival di quest'anno: limitata sì dai distanziamenti richiesti dall’emergenza sanitaria, ma per nulla sotto tono, ispirata anzi in tutto e per tutto al tema del coraggio, che non a caso è il filo conduttore delle rappresentazioni di quest’anno, un Leitmotiv già annunciato nel 2019, ma mai così azzeccato come in questo contesto.
Un taxi per Don Giovanni
Si parte con una rivisitazione del Don Giovanni di Mozart già pensato da Davide Livermore per il teatro romano di Orange e riadattato per l’occasione agli spazi dello Sferisterio e, soprattutto, alle nuove norme sui distanziamenti. Sul muro di fondo viene proiettata la sagoma di un palazzo, mutevole nel colore, nella tridimensionalità e a volte nell’aspetto, ma sempre sormontato da una statua dorata con l’indice puntato verso l’alto che può ricordare vagamente l’Augusto loricato e che è qui un chiaro riferimento alla figura del Commendatore.
Un’immagine quella del padre di Donna Anna che per Don Giovanni diviene quasi un incubo, un rimorso costante che a tratti ne spegne la baldanza, fa girare la testa e annebbia la vista, causando per qualche attimo la sospensione del canto. Già all’inizio, infatti, il finale è nell’aria: i due si sparano a vicenda e cadono entrambi all’interno di un rettangolo illuminato che simboleggia ovviamente la tomba, quasi a presagire la fine del protagonista.
Una vicenda universale quella proposta da Livermore, senza tempo; i costumi stessi intrecciano elementi contemporanei a reminiscenze settecentesche. Don Giovanni è vorace e dissoluto, la scena del ballo e quella finale della cena si tramutano entrambe in un’orgia con mimi e ballerini coperti da veli, così da occultare l’uso delle mascherine richieste dal distanziamento minimo che essi riescono a mantenere.
Totalmente assenti, ad eccezione di qualche sedia, gli arredi di scena: Leporello e Don Giovanni sgommano entrando a più riprese sul palco a bordo di un taxi giallo, mentre il Commendatore fa il suo ingresso a bordo di una berlina scura.
Curiosa l’idea del catalogo che diviene fotografico e vede proiettarsi sul muro di fondo immagini femminili di ogni origine, età, provenienza geografica.
Le idee registiche fanno leva su elementi certo già visti, ma il complesso della rappresentazione è gestito con sapienza, così come ogni movimento dei protagonisti. Ne deriva uno spettacolo che ha il pregio di far vivere al pubblico una vicenda complessa la quale trascende il mero libertinismo settecentesco e nella quale il rapporto uomo/morale rimane fluido.
Suoni e distanziamenti
Francesco Lanzillotta dirige in modo attento e preciso l’Orchestra Filarmonica Marchigiana che, dopo qualche iniziale incertezza nell’ouverture, non pare soffrire particolarmente del distanziamento imposto ai suoi componenti e soprattutto della riduzione del numero dei violini. Il suono giunge comunque nitido e coeso all’interno di una lettura di gran gusto attuata dal direttore sulla partitura mozartiana. Curati anche i recitativi, purtroppo accompagnati da un fortepiano digitale.
Bravi tutti i componenti del cast. Mattia Olivieri è un Don Giovanni di grande personalità che si distingue per la dolcezza del canto, la ricchezza di armonici e la solida tecnica vocale. Al suo fianco il non meno icastico Leporello di Tommaso Barea si mostra anch’esso solido vocalmente, dotato di un ottimo timbro e straordinariamente ricco di verve. Di gran classe anche il Don Ottavio di Giovanni Sala, estremamente curato nell’emissione e bravissimo nel dare corpo al proprio personaggio senza che esso finisca, come spesso accade, per divenire una figura di scarso spessore.
Davide Giangregorio è un Masetto che, nonostante le umili origini, è capace di ribellarsi di fronte alle pretese di Don Giovanni, tanto da divenire a tratti pugnace; anche nel suo caso la performance risulta di tutto rispetto. Sempre sul fronte maschile Antonio Di Matteo fornisce al suo Commendatore la giusta autorevolezza, derivante, oltre che da una forte presenza scenica, da un’ottima ampiezza vocale.
Grande nitore e pronuncia perfetta per la Donna Anna di Karen Gardeazabal che tratteggia una figura di donna sinceramente affranta per quanto accaduto, sempre incisiva nel gesto e nel canto.
Valentina Mastrangelo è una Donna Elvira innamorata, vestita di rosso come la passione che le arde in seno, di grande rigore musicale e di forte impatto scenico. Volitiva ed equilibrata la Zerlina di Lavinia Bini che si impone con la sua freschezza e la linea di canto sicura.
Buoni gli interventi del Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”, preparato dal maestro Martino Faggiani.