Lirica
DON GIOVANNI

Don Giovanni, il burattinaio

Don Giovanni, il burattinaio

La Fenice recupera, come penultimo titolo della stagione lirica, un allestimento già entrato nella storia della fondazione veneziana. Il Don Giovanni affidato alle cure registiche di Damiano Michieletto, con la collaborazione del sempre fantasioso Paolo Fantin alle scene e di Carla Teti ai costumi, ha già compiuto quattro anni ma non perde la forza dirompente del proprio messaggio. Dell’allestimento, teso a sottolineare la rilevanza fondamentale del protagonista sugli altri personaggi, parla lo stesso Michieletto che così esprime la propria visione dell’eroe: «tutti i personaggi che ruotano attorno a lui una volta che vengono a contatto con Don Giovanni cominciano a subire questo suo fascino malato. Non c'è mai un momento nell’azione in cui non si parli di Don Giovanni: quando è in scena domina tutte le relazioni che si stabiliscono in quel momento, e quando non c’è gli altri personaggi soffrono per causa sua». Un Don Giovanni burattinaio che accentra tutte le attenzioni su di sé, risucchiando nel vortice vitale gli esseri umani circostanti, traditi ma affascinati dalla voluttuosa e volubile figura. Michieletto si sofferma intensamente e insistentemente su ogni carattere. È avvincente che la vicenda, seppur nota, paia rinfrancata e rinnovata nei significati. Leporello, “creatura fragile”, vive all’ombra del padrone e vive i “traumi” di questa vicinanza continua. Il servo è affetto da una sorta di autismo, nei recitativi balbetta e nell’approccio con gli altri sembra manifestare una sorta di pietà per le afflizioni provocate dal villain. Il concentrato di queste caratteristiche sfoga in un finale scioccante: Leporello perde le proprie inibizioni e spalleggia Don Giovanni nell’orgia collettiva che sostituisce la “mensa” (non cibo ma donne). Anche Donna Elvira assume tratti esasperati e la “follia amorosa” pare renderla una tarantata, sofferente per la condizione di amante raggirata. Dall’altra parte Donna Anna e Don Ottavio rispecchiano i problemi di una coppia moderna. Lei è turbata dall’esperienza con Don Giovanni che l’ha sconvolta ma le ha aperto gli occhi alla passione, lui, al contrario, appare pacato e poco stimolante, in definitiva una perfetta e lucida visione di molte unioni odierne. Paolo Fantin asseconda l’intento registico con una scenografia che ritocca appena l’epoca della vicenda. Egli lascia libero sfogo all’analisi psicologica raffinata e un po’ eccentrica. La pedana rotante, sulla quale si svolge l’azione, è l’intuizione appropriata per dare piena valorizzazione ai numerosi ambienti ideati. Si creano spazi delimitati da scarna oggettistica domestica, numerose porte, che fungono da via di fuga per i personaggi, e scorci inusuali. Dai divanetti sparsi lungo le pareti, al grande letto finale, lo stesso dove ha visto la morte il Commendatore (ucciso a bastonate), si ha l'impressione di passeggiare in un’ampia dimora nobile che fu lussureggiante ed ora è in stato di decadenza.

Sono presenti alcuni interpreti già uditi nel 2010. È il caso di Alex Esposito che forgia un Leporello tanto valido scenicamente quanto maturo per fraseggio e espressività. La capacità di rendere vivo un personaggio soggiogato da innumerevoli fobie e inibizioni esibisce un virtuosismo attoriale davvero encomiabile. Anche Attila Jun veste nuovamente i panni del Commendatore, sempre con dubbio gusto e più di qualche imprecisione. La coppia di contadini Masetto e Zerlina è affidata a due giovani cantanti, all’epoca in secondo cast. Si tratta di William Corrò e Caterina Di Tonno. Il primo ha acquisito una plausibile disinvoltura nella recitazione, consolidando pure le potenzialità canore, certamente perfettibili. La seconda è parsa corretta ma un po’ querula per emissione. Tra le interpreti già presenti, in alcune riprese passate, vi è Maria Pia Piscitelli. Il soprano italiano ha carisma in scena, dote essenziale per la dinamica messinscena di Michieletto, ma denota disomogeneità vocali che, oltre a rendere difficoltosa l’ascesa all’acuto, intaccano l’efficacia di un fraseggio potenzialmente interessante. L’attesissima Jessica Pratt canta la parte di Donna Anna con la consueta scrupolosità, pur lasciando trasparire alcune tensioni e uno scarso affiatamento espressivo. Dopo la prova veneziana nei panni di Tom Rakewell in The rake’s progress di Igor Stravinskij, il tenore argentino Juan Francisco Gatell torna, con Mozart, ad un repertorio a lui congeniale. La regia veneziana esalta di Don Ottavio la debolezza caratteriale e lo scarso nerbo nell’affrontare le peripezie. Gatell si sintonizza perfettamente sulle richieste di Michieletto risultando scenicamente consono. Per quanto attiene lo strumento, il cantante può vantare un timbro naturalmente luminoso, benché la correttezza d’emissione non sia sempre indenne da sbandamenti d’intonazione. Di Alessio Arduini, giovane baritono lombardo impegnato nel ruolo protagonistico, va sottolineata la morbida linea canora che si abbina ad una rodata disinvoltura scenica. La corporatura slanciata e atletica esalta il fascino sinistro, perfettamente in sintonia con le esigenze registiche.

L’estroso Stefano Montanari, concertatore versatile per scelte repertoriali, affronta Mozart con un irruenza non sempre giustificata. Nella prima parte dell’opera (almeno fino alla scena sesta del primo atto) si notano alcuni scollamenti, poi superati, tra buca e palcoscenico. La lettura reinterpreta il Don Giovanni secondo criteri influenzati dalla predisposizione del direttore per il repertorio barocco. I ritmi vibranti e le sonorità luminose danno un tocco insolito e personale alla partitura. Apprezzabile la prova dell’Orchestra del Teatro La Fenice. Il Coro, preparato da Claudio Marino Moretti, svolge disinvoltamente il proprio compito.

Ampi ed entusiastici consensi finali per tutti gli interpreti.

Visto il
al La Fenice di Venezia (VE)