Lirica
DON GIOVANNI

DON GIOVANNI, IL VINCITORE

DON GIOVANNI, IL VINCITORE

Il Regio di Torino sta cercando una via italiana al repertorio, ottenendo lusinghieri successi in termini di qualità e incassi. In questa stagione ripropone i propri allestimenti, sia in abbonamento che fuori, di Andrea Chénier, Bohème, Don Giovanni, Traviata, Don Carlo e Italiana in Algeri, alternati a nuove produzioni, alcune particolarmente attese, come l'Olandese volante che ha aperto la stagione e l'Onegin che ha appena debuttato con folgoranti risultati a Covent Garden.

Questo Don Giovanni segnò nel gennaio 2005 il debutto nella regia lirica di Michele Placido. Le scene di Maurizio Balò hanno una forte impronta teatrale e ricreano luoghi con qualche aggancio al reale, però sospesi in una visione notturna e sognata della vicenda. I muri sembrano fatti di impasto lavico nero opaco, increspati come fossero i Cretti di Alberto Burri. Un paio di vasi di fichi d'India (agavi nell'originale) suggerisce la flora mediterranea. Nella sala da pranzo di Don Giovanni tre grandi affreschi nel modo gigante di Palazzo Tè con scene di ninfe e satiri. Puntuale la ricostruzione del cimitero con manufatti di marmo bianco, seppure era evitabile l'angelo che muove le ali e ghermisce il protagonista. Funzionale all’azione ma meno convincente dal punto di vista estetico il sipario con bordo stampato a svolazzi dorati. I costumi, sempre di Maurizio Balò, situano l'azione nell'Ottocento con qualche licenza moderna per i musicisti in scena; prevale il nero ma, a contrasto, Don Giovanni indossa sempre un cappotto bianco. Molto suggestive le luci di Andrea Anfossi, in particolare quelle azzurrate del cimitero e quelle del finale virate al rosso.

La regia di Michele Placido, ripresa da Vittorio Borrelli, risulta routinaria e piuttosto statica, utilizzando il sipario per ingressi e uscite invece di creare situazioni e movimento. Si è apprezzato il posizionamento dei protagonisti in modo funzionale al canto ma l'approfondimento dei ruoli è risultato non bastevole a trasmettere la tensione della storia e le dinamiche mutevoli tra i protagonisti, se non in modo marginale e poco coinvolgente. Non caratterizzanti alcune controscene di donne alla fontana, personale di servizio, invitati alla festa a piedi nudi e in pose erotiche (fotografati da Leporello durante Fin c’han dal vino. Azzeccata, seppure non nuova, l'idea del ritorno in scena di Don Giovanni, dopo lo sprofondamento agli inferi e il sestetto dei superstiti: qui si affaccia dal sipario e sorride, soddisfatto e vincente, che pare dirci: tutto è passeggero nella vita, sia il dramma che la commedia, e non ci sono mai accadimenti definitivi.

Punto di forza Christopher Hogwood che, con gesti ampi, ottiene dall'orchestra del Regio un suono leggero e dinamico, brillante nei tempi senza essere frenetico. Il direttore privilegia le tinte drammatiche in modo equilibrato e calzante, senza scurire i momenti di distensione. La partitura viene esaltata da un uso originale e affascinante dei solisti, soprattutto alcuni fiati e il violoncello: un Mozart di suggestione barocca ed emozionante modernità che non cerca frivolezze svolazzanti ma evidenzia il cupo e il gioioso, entrambi passeggeri, si sa, come il finale qui conferma.
Da segnalare al fortepiano Carlo Caputo.

Carlos Alvarez è un Don Giovanni aristocratico, agée e dunque conoscitore dei fatti della vita e degli esseri umani, quindi distaccato: seduce per l’aura che lo accompagna, più che per il comportamento o la gestualità; vocalmente appropriato, Alvarez conferma un registro grave ampio e sonoro, le salite all’acuto sicure e facilitate dal timbro baritonale e i fiati lunghi. Carlo Lepore è Leporello (sembra un gioco di parole): privilegia la tinta giocosa e disimpegnata del servitore fedele senza scivolare nelle gigionate che il ruolo favorisce, restando sempre misurato e credibile dal punto di vista attoriale e giusto dal punto di vista vocale. Eva Mei è una Donna Anna dal registro acuto squillante, sicura nelle agilità. Meno preciso il Don Ottavio lamentoso di Tomislav Musek, alcune note non sono a fuoco e i vertici del pentagramma non lo trovano saldissimo. Dopo essere stata per anni un’ottima Donna Anna, Carmela Remigio si conferma una straordinaria Donna Elvira, ruolo affrontato più volte dopo il debutto a Macerata nel 2009; il soprano ha timbro scuro affascinante che pare ideale per disegnare un’Elvira furiosa e innamorata, qui particolarmente apprezzata per le personali infiorettature nelle agilità; esempio di donna tradita, è in scena non da sola ma con Donna Anna e Zerlina in Mi tradì quell’alma ingrata. Di lusso la Zerlina di Rocìo Ignacio, giovane e spigliata ma con voce importante di soprano lirico, accanto alla quale scompare e delude il Masetto di Federico Longhi. Altissimo e tonante, ma con oscillazioni, il Commendatore di Josè Antonio Garcìa, che canta in buca tutto l’intervento nel secondo atto.

Un pubblico non prodigo di applausi e qualche posto vuoto in platea non diminuiscono il successo della serata che precede una lunga serie di repliche, come d’uso al Regio di Torino. Seguiranno la ripresa della Traviata di Laurent Pelly, il raro Matrimonio segreto di Cimarosa e il lussuoso Don Carlo di De Ana: attenzione, per quest’ultimo sono cambiate alcune date e turni di abbonamento.

note al secondo cast a cura di Ilaria Bellini

Fra le tante “eccellenze” del Regio di Torino rientra il livello dei secondi cast, generalmente omogenei e fonti di gradite sorprese, come si è verificato anche in questa occasione.

Markus Werba lo avevamo apprezzato alla Fenice nello spettacolo di Michieletto dove dava vita a un Don Giovanni magnetico e febbrile; a Torino è un seduttore svagato, all’occorrenza cinico, che ha tutta la leggerezza del libertino settecentesco, ma che è roso al suo interno. Quest’impostazione si traduce anche a livello vocale, il cantante austriaco non ha voce dalla timbrica particolarmente caratterizzata, ma crea un personaggio affascinante a partire dall’articolazione di frase e parola senza incorrere nel rischio d’ingrossare una voce che debordante non è. Nessuna enfasi, ma un canto modulato con naturalezza e la serenata o  l’addio  rivolto a Donna Anna hanno la leggerezza di un soffio che esprime la caducità delle umane cose.
Servo e padrone hanno pari disinvoltura scenica, ma sempre all’insegna della credibilità e della misura: Mirco Palazzi è un Leporello dalla comicità ironica, senza particolari guizzi istrionici, ma mai sopra le righe, come del resto il canto sorvegliato dalla morbidezza brunita. Dei personaggi femminili ci è piaciuta Maria Grazia Schiavo per aver tratteggiato una Donna Anna nobile e intensa nella sua tragicità composta e  soprattutto per la voce duttile e luminosa, ottima per timbro e legato. Una nota di merito anche a Rosa Feola, una Zerlina consapevole e a tratti ammantata di malinconia dolente, che con voce morbida infonde al personaggio complessità e calore. Daniela Schillaci ha voce penetrante e un ragguardevole volume che fa presa sul pubblico, ma la sua Elvira è fin troppo volitiva e manca di dolcezza e languore. Voce chiara ed eleganza di fraseggio per il Don Ottavio di Francesco Marsiglia, valorizzato da una filigrana  orchestrale in filigrana che impreziosisce le sue due grandi arie. Non particolarmente caratterizzato il Masetto di Federico Longhi.
José Antonio Garcia è il Commendatore, la cui voce imponente risuona per lo più fuori scena.

Se pur improntata a rigore formale e nitidezza barocca, la direzione di Christopher Hogwood non può essere tacciata di aridità e risulta ben equilibrata nelle dinamiche e negli spessori che, pur non avendo densità romantica, risultano penetranti per il colore conferito ad alcuni strumenti  solisti  (corni, tromboni, violoncelli) ed anche il fortepiano assume un’inedita morbidezza. I tempi piuttosto distesi favoriscono il fiorire del canto, ma non viene mai meno il senso del racconto e dell’architettura complessiva senza cali di tensione. Notevole per precisione e nitidezza la prova dell’orchestra del Regio, che si è confermata compagine di alto livello anche in versione barocca.

Calorosi applausi a tutti gli interpreti con punte di entusiasmo nei confronti dell’orchestra.

Visto a Torino, teatro Regio, il 23 febbraio 2013

Visto il
al Regio di Torino (TO)