Interpretato da uno straordinario Gianluca Gobbi, il Don Giovanni di Binasco è un ritratto realistico e fragilmente umano di uno dei personaggi più amati/odiati di sempre.
Don Giovanni, stereotipo del signorotto affascinante e sprezzante di tutto e tutti, il seduttore per antonomasia, uomo senza leggi né Dio. Sopravvivendo, anzi godendo di ottima salute nei secoli, il mito creato da Tirso de Molina ne El burlador de Sevilla y Convidado de piedra, portato al successo da Molière rappresenta un classico del “secolo del teatro”.
Commedia in cinque atti scritta nel 1665, negli ultimi anni a teatro è stata più volte riletta, riadattata e attualizzata. Valerio Binasco, attore e regista di punta del teatro contemporaneo, porta in scena una sua versione prodotta dal Teatro Stabile di Torino.
Un Don Giovanni brutalmente schietto e leggermente borderline
Ambientato in un non luogo in un tempo non ben definito ma facilmente avvicinabile al nostro presente storico Don Giovanni si presenta mastino, ben piazzato, giubbotto di pelle e anfibi ai piedi. Interpretato da uno straordinario Gianluca Gobbi, il leggendario “sciupafemmine” perde qui i connotati piccolo borghesi e l’aria elegante per bardarsi di una durezza hipster e una determinazione visibile nell’atteggiamento minaccioso e nei modi un po’ rozzi e schietti di una testa calda alla ricerca di guai. Pieno di tic nervosi intervallati da risatine isteriche e cambi repentini di umore, il Don Giovanni di Binasco ha caratteristiche un po’ borderline, rese efficacemente attraverso la potente mimica e la particolare voce di Gobbi.
Dalla povera Elvira alle due ragazze sedotte contemporaneamente in un pub nei bassifondi di Napoli, passa da una ”preda” all’altra sprezzante verso le regole, le leggi o il buon senso, ma ciò che è più importante sprezzante nei riguardi di Dio.
Si percepisce chiaramente, nella versione di Binasco, tutta la diatriba religiosa del testo di Molière grazie a un Don Giovanni perennemente con gli occhi protesi al cielo, che beffeggiando gli uomini di fede, calpesta chiunque gli capiti a tiro pur di avere il proprio tornaconto (sempre a sfondo sessuale) personale. Perfettamente inserite nel contesto le battute di spirito che intervallano i dialoghi più seri, strappando una risata o un sorriso ma invitando allo stesso tempo a riflettere, rispettando il senso pieno del testo originale.
L’amaro in bocca lasciato dalla tragedia nella commedia
Spalla scenica e drammaturgica efficace e incalzante Sganarello, interpretato da Sergio Romano, servo e succube dei diabolici piani del padrone, legato a questo fino al suo ultimo respiro. Durante tutta la pièce sembra esserci in lui l’amarezza e un forte senso di ripugnanza per quanto compiuto dal padrone, atteggiamento che si capovolge nel finale a dimostrazione forse che, come si suol dire, “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”. Memorabile a tal proposito la sua ultima battuta dopo la morte del libertino: «…e adesso a me chi mi paga?!»Attraverso cambi di scenografia quasi visibili grazie al leggero velo chiaro che produce un effetto stile “vedo, non vedo”, la tragedia dell’inguaribile casanova si consuma sotto gli occhi degli spettatori in un adattamento scorrevole e lineare, dal ritmo serrato e le atmosfere immersive create dalla commistione tra le luci di Pasquale Mari e le musiche di Arturo Annecchino.
Burlone e truffaldino anche di fronte alla frustrazione rabbiosa del padre e alla malattia terminale della madre, Don Giovanni monta la sua smania di vivere senza regole fino all’ultimo, quando finge di morire davanti agli occhi del fedele servo.
Binasco restituisce un ritratto realistico e fragilmente umano di uno dei personaggi più amati/odiati di sempre.