Lirica
DON GIOVANNI

LE SETTE PORTE

LE SETTE PORTE

Dopo il ritorno della Valchiria tecnologica dei Fureri (recensione presente nel sito) che ha inaugurato la stagione nel segno di Wagner (e in attesa del Don Carlo che inaugurerà il Maggio nel segno di Verdi) ecco ora Mozart: tre appuntamenti imperdibili con autori di riferimento nella prima parte di stagione ad anticipare le consuete, imperdibili proposte, contemporanee e non, del Festival.

Questo Don Giovanni è immediatamente associato a Ferrara e Abbado, un'edizione rimasta nella storia, anche se invero trattasi a tutti gli effetti di una produzione completamente nuova, pensata per Firenze. A cominciare dalla scenografia di Maurizio Balò. L'impianto è lo stesso e al tempo stesso diverso. Laddove a Ferrara era tutto bianco, qui piastrelle bianche e azzurre dominano la scena che digrada in pendio verso la platea con due lunghe panche in muratura, circondando il golfo mistico con una balaustrata di pilastrini di marmo. Gli orchestrali entrano da fondo scena come fossero cantanti, guadagnando un lungo applauso dal pubblico fiorentino che ha un rapporto privilegiato con le istituzioni del Maggio e non ha mai rescisso la fiducia verso le sue componenti artistiche di alto livello. Il fondo è chiuso da un emiciclo in cui si aprono sette porte che digradano in altezza: inusualmente, quella più bassa è al centro. Unici arredi quattro sedie e un paio di candelieri; per la cena due tavoli entrano e poi escono. A chiudere parzialmente il boccascena un tendaggio nero rigido con grandi nappe che in parte impedisce la veduta sulle sette porte che si aprono quando entrano i cantanti, accompagnati da fasci di luce (creazione di Linus Fellbom).
I costumi di Silvia Aymonino sono l'altra grande novità: a Ferrara abiti del Settecento, a Firenze abiti del Novecento, lasciando a paggi e valletti le divise rococò. La costumista ha compiuto una lunga ricerca sugli abiti, documentata nel programma di sala in moto eccellente: ne esce un Novecento sivigliano e raffinato, impreziosito da dettagli ed esaltato da un'eleganza non esibita. Che avvicina la storia alla sensibilità contemporanea.

La regia di Lorenzo Mariani ha intuizioni di grande senso teatrale nel solco della tradizione e frutto di attenzione al libretto: il plot si dipana in maniera chiara e comprensibile, consentendo di apprezzare gli spunti divertenti (meno che nel precedente) e i momenti più drammatici senza mai scivolare nel banale. Però, complice anche la direzione orchestrale, il lato oscuro di Don Giovanni ne fa un po' le spese. Infatti l'atmosfera prevalente è quella giocosa e leggera “da Barbiere di Siviglia”: anche Zubin Mehta si lascia contagiare e, durante la serenata alla chitarra, indossa il cappello di Leporello e regge lo spartito alla solista che suona seduta sulla balaustrata alle sue spalle. Nel finale le luci tingono la scena di rosso, le ombre si allungano e ingigantiscono sinistramente i profili degli orchestrali sul fondale: Don Giovanni esce da fondo platea invitato dai quattro valletti che prima scortavano la statua del Commendatore immobile sul piedistallo. Ovviamente, completato il sestetto, gli altri escono dalle porte: sei, perchè la settima, quella centrale, è occupata dal marmoreo Commendatore.

Apprezzate le scelte relative al cast, di certo non usuali con due baritoni puri nei ruoli maschili principali e due mezzosoprani per due dei tre ruoli femminili principali.
Alessandro Luongo ha il fisico del ruolo del titolo e voce non grande ma usata con sapienza, presentandosi giovane e aitante. Roberto De Candia evita eccessi, restando un Leporello misurato e credibile, vocalmente preciso con la parola scandita e tornita. Viene annunciata l'indisposizione di Yolanda Auyanet ma la sua Donna Anna è superba e strappa l'applauso più volte a scena aperta per la luminosità della voce, la limpidezza degli acuti, l'intensità dell'interpretazione. Come molti applausi meritatamente riceve Paolo Fanale per la voce dolce e morbida che ne fa un Don Ottavio ideale, innamoratissimo e non banalmente servile, bravo in “Dalla sua pace” nonostante l'eccessiva larghezza della direzione lo costringa a fiati lunghissimi (ma forse è proprio grazie alla lentezza che l'aria pare un momento sognato e irreale) e in grado di produrre estrema dolcezza non leziosa e palpabile affetto amoroso scevro da petulanza ne “Il mio tesoro intanto”. Di Caitlin Hulcup si è apprezzata l'intensità drammatica e la capacità di usare certe spigolosità della voce in modo molto teatrale e funzionale al personaggio, esaltando i tratti di una Donna Elvira furiosa e impetuosa ma credulona: dimostrando gli eccessi a cui può arrivare la potenza (e l'inganno) dell'amore. La voce mezzosopranile di Marina Comparato ha dato più consapevolezza a una Zerlina meno acerba del solito, accompagnata dal giusto e garbato Masetto di Nicolò Ayroldi. Meno preciso nella pronuncia ma tonante quanto serve il Commendatore dell'altissimo Stephen Milling. Il coro ha un ruolo marginale ma registriamo l'arrivo alla direzione di Lorenzo Fratini.

Zubin Mehta allarga i tempi sin dalla sinfonia in un modo che diventa quasi insostenibile in “Dalla tua pace” salvo poi restringere un poco nel finale del primo atto e durante il secondo ma senza giovare al passo teatrale (però è da rilevare che, nell'aria citata, la partitura si ammanta di un'emozionante aura da sogno, come se, per quei minuti, tutti fossimo sospesi dal reale). Ne consegue che le sonorità sono meno leggere e brillanti ma, in linea con la regia e l'allestimento, non puntano comunque a cercare il drammatico se non per le velature scure. Il suono è esemplarmente bilanciato, anche grazie alla posizione dell'orchestra un po' più in alto del solito e a quella dei cantanti sempre prossimi al proscenio, con il muro curvilineo a fare parzialmente da camera acustica. Da segnalare l'ottima prova al cembalo di Andrea Severi e l'orchestra sempre magica e duttile quando affidata a Mehta.

Teatro esaurito, grande successo con molti applausi a scena aperta e un trionfo nel finale per uno spettacolo piacevole ed elegante che avvicina il pubblico all'opera. 

Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)